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Ne avremmo di materiale da buttar qua dentro. Il folder
Lavori in Corso è pieno. Ma dobbiamo fare
i conti con 250 scatoloni, cartone pių, cartone meno.
Che, se vi sembran pochi, sono 3 camion per trasportarli
ed una gru per caricarli al sesto piano e scaricarli al
quarto, venti chilometri pių a nord. Fino a notte.
Ora, sono passati quattro giorni e i resti dell'apocalisse
sono ancora intorno a noi. Solo, un po' diradati rispetto
a giovedì scorso. Ah, scordatevi Internet: Fastweb
ha fatto naufragio completo. Trasloco linea fallito miseramente
(ed altre amenità). Quindi, da capo: si aggiorna
'sto affare con mezzi di fortuna, come la scorsa estate.
Per dire: non ho la minima idea di quando le trasmissioni
riprenderanno regolarmente. Se proprio insistete, possiamo
darvi una vaga idea grazie a un cellulare, qualche lampadina
che funziona, un collegamento a infrarossi ed un'antennina
gprs. E poi non dite che non siamo tecnocrati.
Sì, venti chilometri, metro pių, metro meno.
E non avete idea di che razza di viaggio. |
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Oggi alle 20:45, presso Villa
Camperio a Villasanta
(MI), in via Confalonieri 55, serata
Asia Overland 2002. Carlo ed Emanuela raccontano
in conferenza i loro sei mesi di viaggio in Asia, una rotta
di 38.000 km attraverso 22 Paesi. Due ore di immagini in
dissolvenza incrociata, musiche e racconti dal vivo. Ingresso
gratuito. Vi aspettiamo! |
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Ancora pochi giorni e abbandoneremo le nostre quattro mura
milanesi. Se vi siete chiesti perché nelle ultime
settimane, giornale di bordo a parte, non abbiamo pių
aggiornato questo sito, beh, ecco una delle ragioni. I lavori
qua dentro riprenderanno non appena il ciclone trasloco
si sarà esaurito e, con un pizzico di fortuna, avremo
un bel po' di novità.
Così lasciamo Milano. Non è che sia una rivoluzione
epocale, ma una bella svolta alla nostra vita sì.
Io lascio questa città dopo undici anni, che sommati
ai sette che vi ho trascorso da bambino fanno di me un milanese
ormai maggiorenne. Oddio, intendiamoci: pių che emigrare
ci spostiamo un poco, quel che basta ad avvicinarci un po'
alle montagne, trasferirci vicino agli alberi, conquistare
una vista aperta a trecentosessanta gradi e portare Leonardo
in un mondo pių adatto a lui. Insomma, ci attende
una nuova vita di paese e dimensioni quotidiane assai pių
circoscritte e a misura umana.
Che significa, anche: fine dello slalom con il passeggino
fra le automobili parcheggiate sui marciapiedi; fine della
caccia al parcheggio; fine delle finestre in faccia al palazzo
di fronte; fine dell'orizzonte grigio piombo; fine delle
maledette zanzare nucleari milanesi; fine di questi odori;
fine di una lista piuttosto lunga di abitudini che ci siamo
cuciti addosso in tutti questi anni e di alcuni rovesci
della medaglia che, certo, ci mancheranno. Compresa la focacceria
di via Plinio, che per un genovese come me è un distacco
traumatico.
Fine, anche, dell'infinita sequenza di immagini scattate
dalle finestre di via Redi 23, alcune delle quali sono finite
qua dentro,
e qui,
qui,
qui,
qui,
qui,
e ancora qui
e qui.
Pant, pant. Però... non mi sembrava di avervene rifilate
così tante.
Io amo queste immagini. E queste sere ci sto anche giocando
un po'...
E' che, talvolta, Milano ti sorprende con delle luci al monossido
di piombo e le finestre di via Redi, dalle quali la sera vedi
la Madonnina illuminata, sono un discreto punto di osservazione...
E le volte, e le ore, e le stagioni che ho passato a guardare
queste luci. Amo questi tetti. Questo orizzonte fisso che
non cambia mai. Queste antenne che invadono il mio cielo a
trentosessantagradi attorno a me.
Comunque, mi mancheranno.
Avremo invece tutta la corona delle Alpi attorno a noi. Può
essere che vi porti a vedere le luci del prossimo temporale
avvolgere il Monte Rosa e le Grigne. E scusate se è
poco. |
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Questo mese Alp
Grandi Montagne dedica il suo numero monografico
al Cerro Torre ed al Fitz Roy. I visitatori abituali di
questo sito, e soprattutto chi mi legge da tempo, sanno
quanto io sia legato alla Patagonia ed in particolare alla
storia del Cerro Torre, sicuramente una
delle più leggendarie, belle e difficili vette del
mondo. Ne ho anche accennato qui.
Ogni bambino cresce portandosi dietro, e dentro, alcune
storie. Io amo la montagna e le mie sono storie di alpinismo,
storie che raccontano di Mallory e Irvine all'Everest,
di Hermann
Buhl sul Nanga
Parbat, di René Desmaison sullo sperone Walker
alle Grandes Jorasses, di Kurt
Diemberger e Julie Tullis sul K2,
di Tomo Cesen alla Sud del Lhotse.
E di Cesare Maestri e il Cerro
Torre.
A differenza di tutte le altre storie, però - delle
quali un po' alla volta magari vi racconterò fra
queste pagine - Maestri occupa un posto speciale nel mio
cuore. Si può quasi dire che a Maestri io debba il
mio amore per la montagna, o forse è solo l'illusione
ottica di un ricordo sbiadito e lontanissimo. Tant'è,
questa è la mia storia e la racconto come mi pare.
Era il 1971: lo so, l'ho già scritto,
ma mi serve riprender qui il filo dei ricordi. Era il '71,
dicevo. Avevo sei anni, un periodo in cui trascorrevo mesi
in Brenta con i miei, e quell'estate una sera andammo a
Molveno a vedere una conferenza di Cesare Maestri, che fra
l'altro in Brenta era di casa. Veniva a raccontare di come,
l'anno precedente, avesse vinto per la seconda volta il
Torre. Veniva a raccontarci l'Urlo di Pietra, Maestri, e
io quella sera mi innamorai di lui, del Cerro Torre e delle
montagne. Per la prima volta guardai in alto e mi accorsi
di quelle pareti verticali di dolòmia grigia, gialla
e rosa, che si innalzavano sopra alla mia testa.
Poi, ma solo poi, anni dopo vennero Messner a raccontarmi
degli ottomila, Buscaini e la Metzelin a farmi innamorare
definitivamente della Patagonia, e il mio viaggio
per andare a toccarlo davvero, l'Urlo di Pietra. Quanto
tempo ho già visto allontanarsi davanti a me da allora.
Dal mio Cerro Torre.
E' che la Patagonia te la porti dentro tutta la vita e non
c'è bisogno che te lo vengano a raccontare né
Chatwin, né Sepulveda, né Theroux, né
Buscaini. E' che c'è la tua Patagonia e poi c'è
quella di tutti gli altri, che però è sempre
un po' diversa dalla tua.
Ora, io non vi racconterò nuovamente né della
mia Patagonia, né della leggenda di Maestri e del
Cerro Torre. La storia la trovate riassunta qui
e nel racconto del mio viaggio del '90. Leggetevelo, prima
di proseguire. Altrimenti vi manca un pezzo chiave della
faccenda.
Leggo dunque Alp di novembre. Mi perdo fra le straordinarie
fotografie di un mondo che ho vissuto in prima persona e
che ben
conosco, mi lascio cullare dalla nostalgia e dai ricordi,
rileggo per l'ennesima volta di quelle imprese che conosco
a memoria e che sono scolpite nel granito di quelle pareti
e fra i crepacci di quegli incredibili mondi di ghiaccio
e vento e polvere di Re Azul.
Ancora una volta, la milionesima suppongo, ritorno fra le
righe della vicenda di Maestri, su quelle antiche polemiche,
sulla nuova intervista rilasciata questo mese.
Io, di Maestri, mi sono innamorato a sei anni, ve l'ho detto.
E' il mio mago di Oz. Magari voi, se avete la mia età,
vi addormentavate sognando Franco Causio o Raffaella Carrà
e il suo ombelico. Io mi addormentavo sognando di trascorrere
una serata in un rifugio del Brenta chiacchierando con Maestri,
e di sentirlo raccontare di come avesse domato l'Urlo di
Pietra, della sua leggendaria e fantastica impresa, di come
avesse ingannato Re Azul piantando i suoi ramponi sul fungo
di ghiaccio sommitale.
Ho disprezzato i suoi detrattori per un'intera vita e il
mio Re Azul è un racconto su Maestri e il Torre.
Vi siete lasciati ingannare, o non siete stati attenti,
se credete che vi abbia raccontato un viaggio, il mio viaggio
in Patagonia. No, vi trascinavo con me sotto al Torre a
respirare la leggenda di Maestri e delle sue due salite
impossibili.
Leggo Alp, sì, mentre sgranocchio il mio solito squallido
panino nel baretto di via Murat, pausa pranzo. E scopro
alcune cose.
Scopro che nel 1970, Maestri, non è affatto arrivato
in vetta al Torre. Il mio eroe si è fermato a trenta
metri dalla vetta, dopo aver attaccato quello stupido compressore
alla parete. Dice, nell'intervista: "Il Torre finisce
dove finisce la roccia, il fungo non conta"
E no, caro Cesare. Il Torre finisce in cima, come tutte
le montagne del mondo. Tu, nel 1970, non hai salito il Torre,
hai salito un pezzo del Torre, precisamente il Torre meno
trenta metri, che sono un palazzo di dieci piani per la
cronaca, mica peanuts, e sono anche trenta metri
bastardi, durissimi, di ghiaccio vaporoso, strapiombante
e maledetto, un fottuto e maledettissimo fungo di ghiaccio
che qualcuno, anni dopo, ha persino dovuto forare scavando
un tunnel a forza di braccia e martellate per riuscire a
sbucare in vetta.
Hai fatto traversa, Cesare, mica gol. E no, cazzo, non hai
fatto gol! E già mi innervosisco parecchio, perché
un mito è un mito, il tuo eroe è il tuo eroe,
e il mago di Oz è il mago di Oz. E io sono anche
un po' stronzo, perché non ho mai letto bene la storia,
evidentemente, visto che questo è un fatto, a quanto
pare, noto da sempre. Ho sempre sentito dire che Maestri,
nel '70, aveva salito il Torre per la seconda volta e tanto
mi era bastato. Questo era rimasto nei miei ricordi di bambino,
di quella sera a Molveno nell'estate del '71.
Ora ho capito, Cesare, perché non vogliono accreditarti
quella salita, anche a distanza di oltre trent'anni. Ed
è inutile che tu ti ci incazzi, non lo stabilisci
tu dove finisce la montagna, è la montagna che stabilisce
se tu sei arrivato in vetta o meno.
E che rivincita sarebbe, scusa, sui tuoi avversari? Trenta
fottutissimi metri di ghiaccio vaporoso e bastardo...
Vabbé, la salita del '70 non l'ho mai capita bene,
tutto sommato. E' quella del '59 che conta, no? La vera,
unica, prima ascensione assoluta della montagna più
difficile e leggendaria del mondo. Il piccolo uomo contro
l'Urlo di Pietra, impossibile a salirsi by fair means,
a detta di tutto il resto del mondo.
Quella salita che è diventata davvero una leggenda
e che, da quarantacinque anni, americani ed inglesi ti contestano,
stupidi invidiosi anglosassisti ignoranti. Oh, scopro però
ora, qui fra le pagine del mio Alp, che anche il buon Carlo
Mauri te la contestava. Anzi, scopro che nel '70 sei tornato
sull'Urlo proprio perché Mauri ti aveva provocato
con quella dichiarazione ai giornali, "sono tornato
salvo dalla montagna impossibile". Un messaggio
fin troppo esplicito, diretto evidentemente proprio a te.
Che infatti replicasti, stizzito: "Impossibile solo
per chi non è capace". E' Mauri l'altro
protagonista della corsa al Torre, l'eroe sconfitto. Non
lo sapevo, non l'avevo mai letto.
Invidioso, Mauri, certo. Accidenti quel Mauri. Certo che
Carlo Mauri... No, perché stiamo parlando di Carlo
Mauri, mica di Gianni e Pinotto. Cioé, come se Platini
si mettesse a contestare un gol a Maradona. Non te lo contesta
l'ultimo sfigato difensore di serie B, è Platini
che sta dicendo che quel gol non l'hai affatto segnato.
Scopro che anche il tuo amico Cesarino Fava non l'ha mai
spiegata bene 'sta storia del '59. Rimasto giù mentre
tu salivi con Egger, ha più volte cambiato la sua
versione dei fatti, mai esattamente la stessa. Tu, poi,
niente. Due parole in croce, due righe scarse, poi il silenzio.
Per quarantacinque anni. Resistendo a qualunque pressione,
provocazione ed attacco frontale. Niente foto, praticamente
niente relazione, nulla. Solo tu e la leggenda infranta
del Torre. Ed Egger morto mentre stavate scendendo.
Ora leggo anche che non solo non l'hai mai raccontata quasi
per nulla, ma che quel poco che hai raccontato proprio non
quadra un accidente, no no, ma veramente zero zero, eh?
Perché è un fatto che ormai sono quarantacinque
anni che ci provano tutti a ripetere quella via. Tutti.
I migliori fuoriclasse del mondo, gente che il Torre l'ha
scalato ormai anche a testa in giù e a piedi nudi
per altre vie. Fino in cima, eh? Fungo di ghiaccio compreso.
Ci hanno provato Salvaterra, Giarolli, Orlandi. Miti viventi
dell'alpinismo patagonico, che del Torre conoscono ogni
cristallo di ghiaccio ed ogni fessura. Qualcuno è
persino arrivato a sfiorarla quella vetta bastarda, salendo
per la tua mitica, e mai ripetuta via. E son passati quarantacinque
anni. L'alpinismo ha attraversato generazioni, i materiali
e la tecnica sono ormai fantascienza paragonati a quelli
di quarantacinque anni fa. Tutto è stato salito,
ma proprio tutto, e in tutti i modi possibili.
Ma quella cazzo di via no, la Maestri al Torre del '59 no,
non c'è mai più riuscito nessuno.
Strano. Sì, Cesare, davvero strano.
Strano leggere che tu hai scritto di avere usato, allora,
120 chiodi, ma di quei chiodi nessuno ha mai trovato traccia,
nessuno di coloro che ci hanno riprovato e che l'hanno ormai
percorsa quasi tutta quella maledetta via, quasi fino in
vetta, prima di arrendersi. Strano, tanto più che
hai detto di averli usati anche per la discesa, quindi dovrebbero
essere ancora lì.
Strano leggere che tu parli di alcuni tiri piuttosto semplici
di quarto e quinto, seguiti da una durissima traversata
obliqua di sesto grado, mentre chi è riuscito a ripetere
la via fino a quel punto non solo dice esattamente il contrario,
ma aggiunge che quella rampa obliqua, vista dal basso...
vista dal basso, Cesare... appare molto più difficile
di quanto non si riveli poi essere davvero. Un po' inquietante,
non trovi?
Strano leggere che tu ed Egger avete impiegato, secondo
la tua scarnissima relazione, tre giorni per salire quel
diedro di 300 metri in mezzo alla parete e solo sette giorni
per salire l'intera via, almeno quattro volte più
lunga. Strano, tanto più che la parte alta, sopra
a quel diedro, è quella dove nei quarantacinque anni
successivi tutti coloro che ci hanno riprovato hanno dovuto
arrendersi. E' la parte più dura, senza dubbio, molto
più di quel famoso diedro. Com'è possibile?
Razionalmente, Cesare, com'è possibile?
E questo fatto che nessuno, insomma, nessuno abbia mai trovato
un accidente di prova del tuo passaggio, nulla, ma davvero
nulla di tutto quel (poco) che hai raccontato. Ma da dove
diavolo sei passato allora?
Ormai aumenta sempre più il numero di coloro che
iniziano a pensare che questa sia la più grande bufala
mai raccontata nella storia dell'alpinismo.
Non vorrai mica farmi credere davvero che hanno ragione
quelli che nel '74 hanno scritto sui giornali "Casimiro
Ferrari vince l'invincibile Cerro Torre", sottintendendo,
ovviamente, per la prima volta.
E no Cesare, tu sei il mio mago di Oz.
E allora, perché te ne vai? Perché abbandoni
l'ennesimo intervistatore senza rispondergli? Perché
lanci solo il tuo criptico messaggio, "Io il Torre
lo odio, vorrei vederlo crollare, a me ha fatto solo del
male"?
Sono passati quarantacinque anni, Cesare. E anche tu ormai,
scusa, sei un anziano eroe in pensione con la barba bianca.
Sono quarantacinque anni che te ne stai in silenzio, con
l'unica esclusione di quella pagliacciata mediatica del
'70 con il compressore. Già, appunto... per una via
diversa, fra l'altro. Anche questo è strano alla
fine, no? Perché una via diversa, se proprio doveva
essere una rivincita, e non la stessa del '59? Perché
quella via del '70 è ormai stata ripetuta decine
di volte e senza l'aiuto di alcun martello compressore,
come facesti tu allora, e la via del '59 continua invece
ad essere inviolata dopo il tuo passaggio, nonostante gli
stessi tentativi e ben più tecnologia in parete?
Dillo Cesare. Diccelo com'è andata davvero nel '59.
Raccontaci di come tu ed Egger siete arrivati su quella
vetta maledetta, in cima, sopra al fungo di ghiaccio. Raccontaci
ancora di come Egger sia morto precipitando in discesa,
portando con sé quella stramaledetta macchina fotografica,
e perché, quando il corpo di Egger è stato
infine trovato qualche anno fa, la ricostruzione della sua
morte non abbia ancora quadrato con la tua versione e, soprattutto,
la macchina fotografica non fosse con lui.
Cesare, raccontacelo. A che pro ormai questo infinito silenzio?
A cosa serve? Io non voglio credere che il mio mago di Oz
abbia mentito a un bambino di sei anni raccontandogli di
un orco che non era affatto stato domato.
Pazienza se ormai non ti ricordi più tutti i dettagli,
anche se chi ha compiuto davvero un'impresa come quella
che tu hai detto di aver compiuto quarantacinque anni fa
non può dimenticarsi i particolari. E' la Storia
Cesare, imprese come quella fanno la storia dell'uomo.
E se non è più possibile credere nemmeno a
queste storie, a cosa dobbiamo credere?
Cesare, lascia perdere i giornalisti, gli invidiosi, i malfidenti
e tutti coloro che ti hanno dato addosso in questi quarantacinque
anni. Dillo solo a me. Per favore.
Telefonami e dimmelo come è andata davvero. Io continuo
a credere che tu sia stato lassù. Voglio la mia favola.
Ma voglio sentirla raccontare dalla tua voce e voglio che
sia credibile. Altrimenti, piuttosto, dimmelo che è
stata la più grande balla che tu abbia sparato in
vita tua. Perché se è così, ti giuro,
è riuscita davvero bene, puoi esserne fiero lo stesso.
In cambio te ne racconto una io che ho sparato per anni:
ci ridiamo insieme, tu rimani il mio mito, credimi, e io
mi metto il cuore in pace. Tanto la verità è
che a me 'sta storia del compressore è sempre piaciuta,
è per quella che sei il mio mito. Chissenefrega di
quegli ultimi fottuti trenta metri. Sei stato un grande
a lasciare appeso lassù quel ferrovecchio arrugginito
da un quintale.
Ma adesso dimmelo se nel '59 ci sei davvero arrivato lassù.
Telefonami e dimmelo, per favore. Lo tengo per me. Credimi. |
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E io continuo a collezionarle e a farvele leggere, perché
lo so che altrimenti vi passano sotto gli occhi e non le
vedete: qui,
qui
e qui.
La cosa interessante è che la prima notizia non è
riportata dalla CNN. Perché ormai anche ad occidente
le filtriamo, ancor prima di passarle, nel caso, in secondo
o terzo, o quarto piano.
Noi, a questa gente, abbiamo regalato le Olimpiadi e stiamo
consegnando l'intera economia mondiale. A volte, parlando
di Cina, ci ricordiamo del Tibet, ma solo vagamente sapremmo
esprimere una qualche opinione in merito supportata da argomenti
e cognizione di causa.
Noi parliamo di Cina, ma nessuno sa un tubo della causa
uyghura, e dello Xinjiang
praticamente nessuno conosce l'esistenza.
Stiamo parlando di una "minoranza" di una decina
di milioni di persone, per intenderci, mica tanto per caso
musulmane. Che fa scopa, guarda un po', con la prima delle
notizie in cima a questo post. It. Giallo, ancora
una volta. |
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Comunque la si voglia leggere, questa
notizia è irresistibilmente comica. Mi viene
in mente il Principato di Gruviera, visitato da Paperino
in una bella storia del '64. Non è per analogia:
è che me li vedo gli osservatori russi, fianco a
fianco a quelli dell'OSCE, e mi scappa da ridere allo stesso
modo. Aggiungerei, in calce: "Ma va'?"
Pfaal,
invece, pubblica una bella analisi
dell'eurocorsa prendendo spunto da un episodio analogo ad
altri dei quali noi stessi abbiamo iniziato ad esser testimoni
un paio d'anni fa, quando ancora il fenomeno era nella sua
fase embrionale. Nel 2002 in Asia Centrale la nostra moneta
iniziava già ad essere preferita al dollaro in gran
parte delle transazioni commerciali, al cambio nero ed a
quello ufficiale. In buona parte della regione era normale
assistere alla diffusione dell'euro come mezzo di scambio,
parallelamente alla valuta americana. E ancora lo scorso
anno, di passaggio a San Pietroburgo, osservammo che l'euro
aveva di fatto quasi soppiantato il dollaro sull'intera
piazza est europea e centroasiatica.
Se la mafia russa si converte all'euro, l'impero del dollaro
crolla come le tessere del domino disposte in fila indiana,
da Mosca fino ad Hong Kong, via Siberia e Medio Oriente. |
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