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Oggi, 25 maggio, Carlo verrà intervistato su RadioInBlu,
nel corso della trasmissione "Il
giro del mondo". RadioInBlu è il circuito
radiofonico promosso dalla Fondazione Comunicazione e Cultura
della CEI. La trasmissione è in diretta e va in onda
dalle 9,12 alle 9,58 sulle 220 radio che fanno parte del
circuito In Blu, ma anche sul canale satellitare Blusat2000
e sul sito www.radioinblu.it.
Aggiornamento: la registrazione dell'intervista è
disponibile qui
(21Mb, versione per Windows Media Player) e qui
(6Mb, versione per RealPlayer). Grazie a Giovanni per il
suggerimento tecnico. |
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Questa è una storia di cui verosimilmente nessuno vi ha
raccontato fino ad oggi e vi racconterà. Vladislav Terzyul
era un forte alpinista ucraino, molto forte, come parecchi
suoi colleghi est-europei: formidabili atleti, perlopiù
destinati a rimanere sconosciuti ai Media, ma le imprese
dei quali stanno rivoluzionando completamente la storia
dell'alpinismo degli ultimi anni. Invernali agli 8000, vie
estreme in tutto l'Himalaya, premi
a raffica
ogniqualvolta
si presentano agli eventi che contano. Pochi mezzi, abituati
a mangiare pane, sassi e ghiaccio, e a lottare con difficoltà
logistiche, climatiche e finanziarie quasi sconosciute a
noi grassi occidentali.
Vladislav Terzyul era un altro di quelli che lo scorso anno
si stavano cimentando con la sfida
delle sfide. Ne abbiamo parlato anche i giorni scorsi,
quando vi ho raccontato di Ed
e di Christian.
Lo so che l'argomento sta diventando un po' ripetitivo,
ma è che siamo a maggio, è stagione sia in Nepal sia in
Tibet, sono ormai sempre più quelli in corsa. La classifica
è destinata ad allungarsi ed io vado a caccia di novità.
Vladislav Terzyul l'ho scoperto durante la caccia e per
un pelo non mi faceva lo scherzo di sbucare dal nulla -
perché proprio non lo conoscevo, e vi assicuro che li conosco
quasi tutti - e farmela aggiornare di nuovo, la classifica,
e pure retroattivamente. Fra l'altro, una delle poche cose
di Vladislav che si trovano in giro per il web è questa,
che non è esattamente leggibile per tutti...
Vladislav Terzyul mi ha fregato.
Perché adesso io non
lo so se lo devo inserire nella lista.
Io credo che Vladislav sia scomparso sorridendo. Sono troppi,
ormai, quelli che ci sono riusciti, perché facciano davvero
notizia. Lui, invece, sorride e ci ha fregato tutti, perché
i misteri e le leggende rompono un po' le scatole, ti falsano
la classifica, non sei mai sicuro se quel punto di domanda
lì in mezzo all'elenco sia una fotografia a colori, una
data ed un numero, o solo una romantica illusione, una favola
mal riuscita.
Come Mallory
ed Irvine: non lo sapremo mai, ma è bello crederci.
Io comunque il punto di domanda glielo metto. Ciao Vladislav,
e scusa il ritardo.
Update: ancora su Christian
Kuntner, molto bello quest'articolo,
ripreso da questa
pagina de "la Provincia di Lecco". Grazie
alla segnalazione trovata su Intraisass. |
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Se ne parlava una
sera con Tooroo ed Aagii, davanti al solito piatto
di montone, consumato al riparo dell'ennesimo ger
piantato nel bel mezzo di nessunluogo, Gobi Meridionale.
Ma com'è che fa questa gente a votare, gli
avevamo chiesto. Oh, è semplice: gli portano il
seggio, oppure smontano il loro ger e se ne vanno al villaggio
più vicino...
Che poi ci credo che "il
Paese vive in un clima di incertezza politica":
provateci voi a scegliere fra Nambariin Enkhbayar e Mendsaikhanii
Enkhsaikhan.
Mi chiedo se per votare debbano scrivere il nome del candidato
vicino al simbolo della coalizione. In cirillico modificato,
fra l'altro, che sennò è troppo facile. |
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Anche Christian e Abele erano ormai al traguardo, fra l'altro sulla
stessa traccia lasciata da Ed. Ancora l'Annapurna, pochi giorni dopo. Christian
non
ce l'ha fatta e Abele l'ha scampata per un soffio.
Proprio ieri, mentre scrivevo dell'impresa di Ed Viesturs,
avevo dato un'occhiata in giro per il web per verificare
a che punto stessero i due e cercare qualche loro bella foto, nel
caso avessi dovuto nuovamente aggiornare la classifica...
Le ultime agenzie hanno precisato che non è stata
una valanga, ma un seracco che si è staccato. Qui,
qui
e ancora qui. |
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Ed Viesturs ce l'ha finalmente
fatta e ha completato così il grande
slam, primo americano a riuscire nell'impresa. Adesso sono 12 gli eredi di Reinhold Messner
che hanno calpestato la vetta dei 14 ottomila.
Complimenti a Ed, che peraltro ha salito per ben sei volte l'Everest
e può dunque vantare 19 ascensioni sui giganti
della Terra (secondo soltanto allo spagnolo Juanito
Oiarzabal, 21 volte in vetta ad un ottomila, e davanti allo stesso Messner, 18 volte):
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"On May 12, at 2 p.m. Nepal
time, Ed Viesturs, 46, stepped into the sky, and into
history, to become the first American to climb all 14
of the world's 8,000-meter peaks. In a call from the
summit, Ed said that it's "one of the happiest
days of my life, one of the hardest days of my life."
www.edviesturs.com |
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Quando ideai Orizzontintorno non immaginavo certo che avrebbe
potuto tornarmi utile anche per questo: sono alla ricerca
di un lavoro.
A quanto pare, la mia azienda deve disfarsi di una bazzecola
come un migliaio di dipendenti, soprattutto fra il middle-management,
e all'improvviso, da brillante giovane dirigente, anche
io mi ritrovo ad essere un "costo da ridurre".
Di conseguenza, la scorsa settimana ho rassegnato volontariamente
le dimissioni e dal 30 giugno prossimo sarò dunque
sul mercato.
Ci sono molti modi di interpretare la situazione. Quello
che preferisco, per ora, è vederla come una grande
opportunità, senza naturalmente dimenticare che comunque
qui c'è anche un mutuo da pagare, un'economia familiare
da mandare avanti e Leonardo che consuma ancora latte come
una Ferrari. Non esattamente dettagli.
Nell'ultimo mese siete transitati da queste parti in più
di dodicimila. Siete davvero molti, una crescita vertiginosa,
che significa fra l'altro che il blog funziona, eccome.
Fra gli indirizzi ip, puntualmente decodificati dalle statistiche
di accesso, c'è davvero di tutto: tour operator e
agenzie di viaggio, magazine, giornali, tv e Media in generale;
ma anche aziende di tutti i settori, società di consulenza
e servizi, ministeri, istituti universitari, e chi più
ne ha più ne metta.
Fino ad oggi non avevo messo di proposito il mio curriculum
in linea su Orizzontintorno, soprattutto per conservare
quella sorta di dissociazione fra i contenuti di cui ci
occupiamo qua dentro e la mia vita professionale; dissociazione
che mi accompagna da una vita e che fa sì che da
anni i nuovi colleghi mi chiedano immancabilmente: "Ma
che diavolo ci fa, qui, uno come te?"
Risposta: ci faccio quello che ci facciamo tutti, ossia
contribuisco a portare a casa i mezzi per mandare avanti
la famiglia e condurre tutte quelle attività che
proprio su Orizzontintorno vedete. Se preferite, una risposta
più o meno analoga l'ho data anche in fondo a questa
pagina.
Quindi sì, la mia professione poco ha a che fare
con i viaggi, quasi nulla con Orizzontintorno, né
tanto meno con la fotografia, con i video e con tutto ciò
che trovate qua dentro. Anche supponendo che sia solo un
caso, questo caso mi ha portato sin qui oggi, nel
bene e nel male, e in generale più nel bene.
Ora però la navigazione guidata è terminata
improvvisamente e mi ritrovo senza bussola nel bel mezzo
di un mare che sfortuna vuole sia proprio in burrasca. In
altre parole, delle due l'una: o trovo un lavoro che abbia
a che fare con il mio curriculum, e in questo caso non è
successo nulla, anzi, tutto bene e la navigazione può
per fortuna riprendere come prima, lungo rotte a me note;
o si fa avanti qualcuno disposto ad investire sul sottoscritto,
che mi dia l'opportunità di veleggiare verso l'ignoto
iniziando una nuova professione legata ai contenuti di Orizzontintorno
(si accettano volentieri suggerimenti in merito).
Io, a priori, non escludo nessuna delle due rotte (e ci
mancherebbe).
La terza via - aspettare che la burrasca passi - è
contemplabile solo nel brevissimo termine. Poi questa barca
si troverà in seria difficoltà.
Quindi: qui trovate il mio curriculum, in italiano
e in inglese.
In breve,
COSA SO FARE e COSA HO FATTO
fino ad oggi: tralasciando la preistoria,
da ormai dieci anni lavoro nel mondo degli ERP,
sia in termini di progetti di implementazione, sia di servizi
di application management.
Ho fatto a lungo il project manager.
Non lo faccio più da almeno tre anni, ma è
un profilo che, nel caso, prendo sempre in esame.
Ho fatto il client manager,
ruolo che preferisco a quello di project manager, ma devo
chiarire: non sono mai andato a caccia di clienti da solo.
Ho sempre lavorato con clienti già acquisiti.
Stavo facendo il resource manager,
prima del terremoto. E' un ruolo ponte fra HR ed operations
aziendali, un po' il controller delle risorse umane, colui
che ne gestisce ed ottimizza l'impiego sui progetti. Un
ruolo che a me piaceva molto. Anzi, piace.
Ne capisco, molto, di servizi per la manutenzione applicativa
dei sistemi e, non poco, di web
e di comunicazione sul web.
Se passate di qua in centomila all'anno deve essere vero,
no? Del resto, il web l'ho visto nascere e sono quindici
anni che volo fra le maglie della Rete.
COSA NON SO FARE e COSA NON
SONO: non sono (più, da tempo) un
consulente di prodotto, o meglio, ormai da anni non sono
più hands-on. Questo vale in generale, indipendentemente
dal prodotto stesso. Ciò non esclude che possa tornare
a farlo, qualora l'opportunità dovesse presentarsi
interessante.
COSA POSSO FARE POTENZIALMENTE:
credetemi, quasi tutto, tranne cucinare. Del resto il mio
articolato curriculum credo sia un buon biglietto da visita,
sotto questo profilo.
COSA VORREI FARE:
domanda bingo. Quasi inutile dire che ovviamente vorrei
coniugare la mia esperienza e le doti manageriali/organizzative
con un lavoro totalmente nuovo che abbia attinenza con i
temi di Orizzontintorno. L'ideale? Il consulente
di viaggio, o il consulente per un'agenzia viaggi,
o la persona in grado di ideare, studiare, organizzare una
nuova proposta di viaggio, gestirne la logistica, i contatti,
il programma, risolvere i problemi: è del resto la
mia professione attuale, risolvere problemi.
In alternativa, mi piacerebbe lavorare
nei Media del settore, anche con collaborazioni
a contratto. Benvenuto su Utòpia, lo so. Ciò
non mi impedisce di metterlo nella mia wish list.
Prima però che tutte le persone che potenzialmente
potrebbero darmi davvero un lavoro scappino, e ritornando
così al mio cv, considerate che sono innanzitutto
benvenuti ruoli come IT Manager,
spesso sbocco classico della mia attuale professione, e
più in generale tutto quanto abbia attinenza con
il mio background. Continuare a fare il resource
manager sarebbe un bel terno al lotto.
QUANTO CHIEDO:
non è argomento di ricerca, qui. Proponetemi un lavoro,
poi un accordo lo troviamo.
QUALI VINCOLI HO:
una moglie che lavora a Milano, una casa appena acquistata
vicino a Milano, un bambino di un anno e mezzo. Questo non
significa che non valuti opportunità a Canicattì,
o nel mezzo del deserto del Turkmenistan, soprattutto in
mancanza di alternative. Significa però che, nel
caso, qui c'è una famiglia che dovrebbe essere trasferita
di conseguenza, con tutti i problemi logistici e finanziari
connessi.
Non significa nemmeno che non sia più disponibile
a viaggiare per lavoro. Almeno finché Leonardo è
così piccolo vorrei però evitare di vedere
sistematicamente moglie e figlio solo nei weekend, ma se
necessario parliamone. Viaggiare non è comunque mai
stato un vincolo di per sé, ci mancherebbe.
A parte questo, se guardando qua dentro vi viene da pensare
qualcosa del tipo "ehi, ma ce l'ho io il lavoro
giusto per lui", beh, chiamatemi. Vengo sempre
a vedere di che si tratta. |
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Sembra che anche a Karimov gli
butti male. Strano, il 2030
è ancora lontano. Sta di fatto che appare sempre più consistente
la probabilità di un effetto
domino nelle repubbliche dell'Asia Centrale e viene
da chiedersi quanto ci vorrà prima che la rivolta islamica
sfondi anche la frontiera blindata del Turkmenistan.
Ho l'impressione che ormai il nostro diario di viaggio sia
già storia del tempo che fu.
Update 14 maggio: butta
molto
male... |
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C'eravamo anche noi, il 9
maggio 2002, in Piazza Rossa. O meglio, le giravamo
attorno, perché a dire il vero la piazza era completamente
blindata dalla sera prima. Ma tanto il bello accadeva nelle
vie del centro, non al Cremlino, né davanti a San
Basilio. Ché la gente comune, tutta fuori le mura
si ammassava, al di là delle transenne.
Travolti dalle manifestazioni dei reduci di ogni guerra
e dei nostalgici di ogni tempo, carichi di macchine fotografiche
e videocamera, trascorremmo l'intera giornata a catturare
centinaia di immagini, e volti, e bandiere rosse, e petti
orgogliosi carichi di medaglie, e polizia antisommossa,
e camionette blindate ad ogni angolo, e chilometri di cortei,
e migliaia di curiosi, e giornalisti, e militari, e slogan,
e palloncini colorati, e striscioni.
Fu allora che ci rendemmo di conto di essere davvero partiti
e di aver lasciato tutto alle spalle. Per parecchio tempo
a venire.
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A quanto pare Saparmurat Niyazov, alias Turkmenbashi,
presidente a vita del Turkmenistan, ne ha sparata un'altra
delle sue.
Combinazione, la notizia arriva mentre scivola via il terzo
anniversario della nostra partenza per Asia Overland e,
solo per un istante, la testa è altrove.
Che Niyazov fosse sul libro
paga degli States - anche se non nei termini citati
dal peraltro sempre aggiornatissimo Pfaal
- non mi era nuova. Del resto, basta un rapido sillogismo:
quanti di voi sanno indicare su una carta geografica il
Turkmenistan, conoscono il nome della capitale, del suo
presidente Niyazov, e sono aggiornati su ciò che
accade laggiù?
In altre parole: com'è che eravate bravissimi
su Saddam e continuate a non sapere un tubo di Turkmenbashi?
Poiché Notizie
dall'Asia Centrale continua a prender polvere
fra i byte del mio hard disk, ecco a voi in anteprima ciò
che scrissi a proposito del nostro amico giusto un paio
d'anni fa, all'interno del capitolo dedicato al nostro passaggio
nel paese centroasiatico:
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"[…] Ashgabat, capitale
del Turkmenistan, surreale cattedrale di marmo bianco
e cupole d’oro ai margini meridionali del deserto
del Karakum, chiusa a sud dalla catena di montagne bruciate
dal sole sulle quali corre il confine con l’Iran.
Ashgabat è il nostro trampolino per il salto
finale che ci porterà fino a casa. È la
sera del 25 settembre quando, al termine dell’infinita
traversata del Karakum, entriamo in città.
A prima vista, il Turkmenistan sembra la rappresentazione,
neanche troppo allegorica, della Corea del Nord. Almeno,
è il primo paragone che ci viene in mente durante
il nostro soggiorno in questo angosciante Paese.
Il Turkmenistan è il Presidente Niyazov. Niyazov
è il Turkmenistan, ne è il padre (Turkmenbashi),
il padrone, il capo del governo, del Partito (unico)
e dell’esercito, il dittatore, il mito, l’eroe,
quasi santo, o forse già dio. Del resto il libro
sacro del Turkmenistan, il Ruhnama, lo ha già
scritto. È esposto in tutte le librerie, insieme
agli altri tre o quattro libri dei quali è l‚Äôautore,
obbligatorio nelle scuole di tutti i livelli, recitato
alla televisione in continuazione su tutti i canali
di Stato da bambini e ragazzi che ne declamano a memoria
i capitoli, sottolineando a braccia allargate i passi
fondamentali con sguardo spiritato e fisso verso la
telecamera.
Il Turkmenistan è agghiacciante, o schiacciante,
o una barzelletta sarcastica, o una sorta di curioso
dopobomba. Dipende un po’ da quale angolazione
lo si osserva. Ma ha petrolio e gas. Trasuda petrolio,
ha i porti sul Mar Caspio, è in posizione strategica,
fra Iran, Afghanistan ed Uzbekistan; ufficialmente non
è musulmano, ospita militari americani e forse
anche qualche base sconosciuta. E allora non fa notizia,
o per meglio dire, a differenza dell’Iraq ad esempio,
non esiste.
Lo stridore dei contrasti che avvertiamo in Turkmenistan
è quasi folle. Il centro di Asghabat con il resto
del Turkmenistan. Le cupole d’oro del palazzo del
Parlamento, i giardini all’inglese regolarmente
annaffiati, i viali deserti ad otto corsie attraversati
da Mercedes e BMW nere nuovissime, con l’infinito
squallore di Dashoguz, o di Mary, il vuoto del deserto,
la povertà evidente delle campagne, dove le donne
si spezzano la schiena per raccogliere il cotone dai
campi strappati alle sabbie.
L‚Äôelettricità non costa nulla, l‚Äôacqua
è gratis, la benzina costa così poco che
il pieno di un’automobile di grossa cilindrata
costa meno di un dollaro. Sono i regali di Turkmenbashi
al suo popolo. Un popolo la cui unica attività
redditizia è il cambio in nero agli angoli delle
strade buie. Già, perché in Turkmenistan
cambiare moneta ufficialmente sembra impossibile.
Se alle frontiera appaiono paranoici nel controllare
la valuta in ingresso, e cambiare in nero è uno
dei peggiori reati perseguiti da papà Niyazov,
cercare di convertire dollari nelle banche è
però un‚Äôimpresa senza speranza. L‚Äôintera
piccola, e forse anche grande, economia del Paese si
basa sul cambio in nero. Ci vive probabilmente la metà
della popolazione. Surreale? Non è ancora niente.
Turkmenbashi è dappertutto. Delle librerie ho
già detto. Ma è anche clonato in decine
e decine di statue, buona parte delle quali in oro massiccio.
La più grande ad Ashgabat, in cima all‚ÄôArco
della Neutralità, un treppiede di ottanta metri
di altezza in cemento bianco, che sorregge i dodici
metri d‚Äôoro scintillante nei quali è scolpito
Niyazov a braccia aperte che guarda il sole. Tutto il
giorno: la statua gira seguendo il sole, dall’alba
al tramonto: Turkmenbashi saluta il sole che illumina
il suo Turkmenistan.
Le statue del Presidente sono le uniche che popolano
tutto il Paese, fatta eccezione per una piccola statua
in bronzo, nascosta in un piccolo parco, che rappresenta
Ataturk, il padre dei turchi, al quale Niyazov si ispira.
Il parco è intitolato all‚Äôamicizia fra il
popolo turco e quello turkmeno. Viene da chiedersi se
i turchi sappiano di essere amici dei turkmeni.
Niyazov non è salito al potere. C‚Äôera già.
Al momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica,
era il dimenticato rappresentante di Mosca del Partito
Comunista locale, l‚Äôautorità per il controllo
del Turkmenistan, una remota provincia della Russia
abbandonata da Dio, dagli uomini e pure dal Cremlino,
che la utilizzava come deposito di spazzature varie,
probabilmente come poligono e, naturalmente, per lo
sciagurato programma di coltivazione del cotone del
quale ho raccontato nella lettera precedente.
Quando Mosca ha dato forfait e le altre repubbliche
del centro Asia ne hanno immediatamente approfittato
per sganciarsi e proclamare la propria indipendenza,
il Turkmenistan ha protestato. Di lasciare mamma Russia,
proprio non ne voleva sapere. Non aveva i mezzi, né
economici, né politici, né sociali per
farlo. Non che gli altri Paesi confinanti ne avessero
molti di più, ma certo le spinte indipendentiste
interne erano assai motivate. Nel referendum del 1991
i turkmeni votarono invece a grande maggioranza per
rimanere con Mosca.
Ma la Russia aveva ben altri problemi di cui occuparsi
ed il Turkmenistan si ritrovò indipendente suo
malgrado. Niyazov era lì, e non si è mai
più mosso. Da allora, per il mondo esterno, il
Turkmenistan è Niyazov. Dopo avere spazzato via
l’opposizione e cancellato qualunque partito, nel
1998 si è autorinnovato il mandato presidenziale
fino al 2002 ed ultimamente ha deciso di rimanere ‚Äúfinché
morte non lo separi”. Non fa peraltro mistero di
non amare particolarmente la democrazia. Dice che è
un’inutile preoccupazione per il popolo.
Se in Uzbekistan il Presidente Karimov ha promesso alla
popolazione che il 2030 sarà il grande anno di
prosperità del Paese, mettendo così una
solida assicurazione sulla propria permanenza al potere
e rimandando a data sicura qualunque malumore degli
uzbeki relativamente alla propria condizione economica
(i manifesti che declamano il 2030 come anno della prosperità
si sprecano a Tashkent), Niyazov è stato molto
più visionario. Ha convinto (?) i turkmeni che
il loro Paese diventerà gli Emirati Arabi del
ventunesimo secolo, che ha battezzato “il secolo
d’oro”. Fantastico.
Ci aggiriamo per l’incredibile e deserta Asghabat:
fontane faraoniche (ma stanno per costruire la più
grande del mondo) irrigano i prati all’inglese
che circondano i palazzi del governo costruiti in marmo
bianco, specchi e cristallo. Questo spreco d’acqua
è un pugno in faccia all‚ÄôAral ed alla desertificazione
che inizia appena usciti dalla città. Le statue
d’oro sono un pugno in faccia a tutto il resto.
Entriamo in un piccolo supermercato, dove non si trova
praticamente nulla. Ma le etichette dei pochi prodotti
che ci sono riproducono, quasi sempre, il volto sorridente
del nostro amico Turkmenbashi. Lo stesso sorriso appare
sulle centinaia di manifesti e cartelloni appesi in
tutta la città e dovunque in Turkmenistan. Il
profilo del Presidente è del resto il logo dei
tre canali televisivi di Stato, quelli che in palinsesto
hanno sempre e solo lui: Niyazov che saluta il popolo,
Niyazov in visita a Dashoguz, Niyazov in visita ai campi
di cotone, Niyazov alla sua scrivania…
E pubblicità ad oltranza del suo libro, e folle
festanti che si aprono al suo passaggio, e bandiere
del Turkmenistan che sventolano dappertutto; e lui che
sale e scende dal suo elicottero personale, e lui che
pensa, e lui che parla, e lui che scrive, e lui che
sorride, e lui che firma documenti importanti con le
delegazioni dei Paesi amici (Bangladesh, Andorra, Tonga,
Repubblica delle Banane…).
Lui, lui, lui sempre, dovunque, dappertutto, immancabilmente
in camicia bianca, a maniche corte, ascella pezzata
(spesso), cravatta slacciata (talvolta). Un vero Presidente
quasi operaio. È una presenza asfissiante.
Una delle sue migliori perle è recentissima.
Una nuova legge, da lui stesso promulgata, suddivide
l‚Äôintera popolazione in categorie in base all‚Äôetà
delle persone. Ci sono i “giovani”, i “maturi”,
gli “uomini”, gli “anziani” ed i
‚Äúsaggi‚Äù. Più o meno, non abbiamo capito
bene le classi, ma il concetto è questo. Ad ogni
categoria corrispondono dei diritti e dei doveri sociali
(soprattutto doveri sociali). In ogni caso, per essere
saggi ed avere qualche speranza di poter dire la propria
bisogna essere molto vecchi, cosa non facilissima da
queste parti. Secondo papà Niyazov, a quarant‚Äôanni
si è a mala pena nell‚Äôetà per parlare.
Naturalmente, lui sfugge a questo principio [...]" |
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