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Ricapitolando: venerdì scorso Arlon, sabato e domenica
Treviso, lunedì Val d'Ayas, martedì Arlon,
mercoledì Lussemburgo, giovedì Arlon, venerdì
e sabato Val Gardena, domenica Milano, lunedì (mattina)
Torino, lunedì (pomeriggio) Alba, martedì
Alba, mercoledì e giovedì Arlon, anche venerdì
(mattina) ad Arlon, perché venerdì (sera)
ci vediamo a Cantù.
C'è che è troppo.
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Di nuovo a
casa...
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(*) Appunto. |
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Se ho fatto i conti giusti - e se il mio calendario rimane
confermato - chiuderò la mia avventura quassù
ad Arlon a fine marzo con quarantanove voli Luxair. Totale
dispari perché, se ricordate, una volta sono tornato
in macchina.
Il che è una disdetta: al cinquantesimo volo mi avrebbero
dato la Luxair
courtesy card ed i leggendari tag Luxair metallizzati
per le valigie. Un mai più senza del quale
corro seriamente il rischio di dover fare a meno. |
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Io sono stato a Saarbrücken.
E dunque mi rivolgo a te, amico pendolare che maledici ogni
giorno il grande raccordo o la tangenziale ovest di Milano
inforcata alle otto del mattino: io sono stato a Saarbrücken
e ho visto cose.
Io, ieri mattina, mi sono alzato alle 5:20, ho preso la
macchina come al solito per andare a Malpensa e - come te
- sono rimasto come al solito imbottigliato in tangenziale,
solo che erano le sei e mezza del mattino, non le otto.
Sono arrivato in aeroporto alle sette e mezza e ormai il
mio posto preferito, il 12A - uscita di emergenza, leggi
gambe distese - se lo era già pappato qualcun altro.
Così mi sono beccato il 14A e sono salito sulla supposta
volante della Luxair con destinazione Lussemburgo.
Solo che a Lussemburgo, io, non sono mai arrivato. Perché
siamo atterrati a Saarbrücken. Che peraltro è
in Germania. Un po' più a destra, verso il basso.
Ora, amico pendolare, il fatto che io sia atterrato a Saarbrücken
perché l'aeroporto di Lussemburgo era chiuso per
nebbia è qui irrilevante anche se, a pensarci, ma
ti rendi conto? A Lussemburgo era chiuso per nebbia! Cioè,
io arrivavo da Milano, dove c'era un sole stupendo, e l'aeroporto
chiuso per nebbia era quello di Lussemburgo. Poi dicono
che non ci sono più le stagioni.
Comunque, dicevo: non è questo il punto. Il punto
è che io mi sono svegliato alle 5:20 in Italia ed
avevo una riunione alle undici in Belgio (sì, ad
Arlon, ovviamente). Invece alle undici io stavo in Germania
insieme ad altri quarantotto pinguinati come me, dopo aver
passato un'ora volando a cerchio nel cielo di Lussemburgo,
che di per sè, credimi, non è poi così
esaltante. Ma te li vedi tu i piloti della Luxair che, guardando
giù, si dicono "oh, qui non si vede un tubo,
dove si va ad atterrare? Mah, andiamo a Saarbrücken,
ché fra un po' finiamo il carburante va'..."
Che poi a Saarbrücken c'era sì il sole, ma anche
un vento che non ti dico, per cui ti lascio immaginare l'atterraggio.
E non è che potessimo permetterci, come la scorsa
settimana, di provare due o tre volte, perché
non c'era più benza nei serbatoi, e sai com'è.
Adesso, amico pendolare che stai ascoltando Radio Deejay
comodamente seduto nel tuo SUV con il Corriere appoggiato
al volante, ti dico com'è atterrare a Saarbrücken:
'na spianata. Cioè, ti guardi in giro fuori dall'oblò
e ti chiedi embè? Intorno il nulla: 'na spianata,
appunto. Tipo l'aeroporto di Rio Gallegos in Patagonia.
Ci sono un paio di mucche, un biplano, ed un altro paio
di aerei della Luxair, segno inequivocabile che oggi non
è andata male solo a te. Vento da urlo. Una cascina.
A parte questo, *null'altro*. Ora, mi dici tu che diavolo
ce lo hanno costruito a fare un aeroporto, oltremodo completamente
deserto, quaggiù? E poi, Saarbrücken, dove accidenti
è?
Noi quarantotto sembriamo quelli della Quinta D, anche perché c'è fuori un autobus
ad aspettarci. Sai come vanno a finire queste cose: io mi
siedo in fondo così faccio casino, io davanti che
sto male, io di fianco a quella del terzo banco, io con
quello di McKinsey non ci sto, insomma, le solite menate
da gita scolastica. Solo che siamo a Saarbrücken, in
Germania, sono le undici, l'età media è attorno ai quarant'anni, e tutti e quarantotto dovevamo
stare da qualche altra parte, suppergiù dalle parti
del Lussemburgo. Io, poi, dovevo essere in riunione in Belgio.
Saarbrücken si trova a poco più di un'ora di
viaggio da Lussemburgo, un po' in statale, un po' in autostrada.
Il ponte sulla Mosella
segna il confine. A Lussemburgo arriviamo alle dodici e
quarantacinque e qui noleggio un'auto. Ad Arlon, Belgio,
arrivo alle tredici e trenta. Otto ore e quattro stati dopo
la mia sveglia.
Amico pendolare eccetera, ecco, volevo chiederti: non è
che la prossima settimana a Saarbrücken ci vai tu e
in tangenziale ad ascoltare Radio Deejay ci sto io? |
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Poiché il mio
appello ha avuto un certo successo e, soprattutto,
una discreta convergenza di esperienze, ho seguito il vostro
consiglio e per la mia seconda trasferta in quel
di Alba ho scelto come campo base l'Hotel
Langhe. Giusto una notte, ché domani sera rientro
a Milano per rivolare, ahimè, ad Arlon. Fra parentesi, nell'accingermi
a scrivere queste due righe mi rendo conto che ultimamente
questo blog sta diventando un po' troppo la Lonli
del trasfertista sfigato, ma tutto sommato se non sono orizzontintorno
questi...
L'Hotel Langhe, dicevamo. Allora: carino è carino, nulla
da eccepire, anzi. Appena fuori dal centro, in fondo ad
una stradina sterrata, silenzioso e abbastanza isolato.
Si direbbe una vecchia cascina ristrutturata, molto bene
fra l'altro, ma considerate che sono arrivato con il buio
e qua fuori non si vede un tubo.
Conduzione familiare. Oltre a me, avvistati quattro spagnoli,
un paio di anglofoni, due o tre consulenti che sembrano
di casa. Ho prenotato la camera 206, e quando dico "la
206" intendo proprio questo, ché il Langhe è l'unico
hotel che abbia mai visto che vi permetta - via Internet
- di prenotare puntando direttamente la stanza che
più vi aggrada: sul sito web ci sono le piante di tutte
le camere e un po' di foto. Non male, eh?
La 206 è una camera standard, quindi piccolina. Ecco, dovessi
dire, personalmente considero lo spazio un benefit chiave
in una stanza di albergo (sarà che sono ancora traumatizzato
dal viaggio in Giappone?) e le camere standard del Langhe
difettano un po' sotto questo profilo. Compensano però con
uno stile perfetto, rifiniture in legno intarsiato e cuoio,
parquet. Un finto rustico di lusso insomma, con tocchi di
design a tema. Il bagno è bello e moderno, ci sono gli shampini
e le saponettine fiche. Sulla scrivania c'è anche un foglio
di carta da lettere finto rustica ed una candela. Insomma,
guardatevi le foto sul sito, ché non siam mica qui a scrivere
per Bell'Italia.
Anzi, siccome nessuno mi paga per questo - e capirete dunque
che il mio unico obiettivo è sfogare un po' di frustrazione
latente - vediamo. Uno: anche qui, Internet nisba. Nelle
camere intendo. C'è la presa di rete vicino alla scrivania,
ma non è abilitata. Dice la signora che posso collegarmi
con la presa del telefono. A dire il vero, signora, sul
suo sito c'è scritto "connessione Internet presa scrittoio".
Due: anche qui tv quasi a zero: i sette canali canonici
ed Eurosport. Nemmeno MTV e CNN. Pochino, eh? Anche perché,
signora, sul suo sito c'è scritto "tv satellitare".
Il fatto è che io non sopporto pagare per dei servizi che
non esistono, anche se quei servizi, magari, non uso.
Tre: ristorante a conduzione familiare e casalingo. Meglio:
non è proprio un ristorante, ci sono tre o quattro tavoli
e c'è quel che c'è. Si mangia benino, il servizio è gentilissimo
e vi sentite coccolati, se è quello che vi piace. Ma. E'
che c'ho il quadro astrale negativo o, se preferite, sono
ormai impregnato dalla sfiga zingara dell'Arlux. Dietro
consiglio specifico della signora, ho ordinato un piatto
di affettati misti locali: mi ha invece portato un'insalata.
Pomodori ed erbacce. Credetemi, mi sono vergognato e non
ho avuto il coraggio di rimandargliela indietro: ho mangiato
i miei pomodori con le erbacce, anche perché mi ha chiesto
se ci volevo l'aceto balsamico o quello normale. Come potevo
reagire?
E poi: pareti di carta velina. La tipa nella camera di fianco
si sta pettinando, e non è che stia usando una motosega.
E poi: qualcuno sa dirmi come si abbassa il riscaldamento
prima che mi evapori la candela?
Uff...
Update: ritiro tutto. Colazione stupenda: standing ovation.
Ospitalità altrettanto: Nico (si chiama così?)
mi ha addirittura servito due caffè fra cui scegliere,
moka ed espresso. Ampia selezione di quotidiani e magazine
settimanali inclusa nel servizio. Consumazioni frigobar
omaggio. E per finire, ho speso meno - cena compresa - di
una notte all'Arlux senza cena. Io ci torno.
N.B. Ringrazio anche Francesca, ma il suo hotel ha un paio
di contro a priori: primo, è a venticinque chilometri da
qui e, ne converrà, dunque non comodissimo; secondo, me
lo ha consigliato lei, non un ospite. Non vale :-) |
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Ebbene, ho infine caricato in archivio le fotografie
del viaggio in Giappone della scorsa estate. In
fondo ci ho messo solo sei mesi, poteva andare peggio. Così,
lo dico per quelli che ogni tanto me lo chiedono e non se
ne fossero accorti. |
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Qualche sera fa Stefano mi intratteneva al telefono da
Somerset,
New
Jersey: "Tu credi che Arlon sia il [censura]
del mondo, ma è solo perché non sei mai stato
qui. A parte che oggi siamo a -15°, considera che l'unica
scelta per uscire a cena è andare nel ristorante
di un altro albergo, e se proprio vuoi fare una passeggiata
non c'è null'altro a parte un centro commerciale.
Se fossi nato a Somerset probabilmente mi sarei suicidato.
Anzi, no: è impossibile nascere a Somerset."
Ora, poiché ho grande stima e fiducia nelle qualità
di giudizio di Stefano, e considerato che è il mio
capo, colgo l'occasione per annunciargli da queste pagine
che io non andrò mai a Somerset.
Nell'attesa di un resoconto dettagliato da Somerset, magari
corredato di reportage fotografico, tale stroncatura mi
dà lo spunto per affrontare la puntata numero due
della mia fake-Lonely
Planet dedicata ad Arlon: l'attesissima e famigerata
guida gastronomica, ovvero la Michelin del purgatorio delle
Ardenne.
Tralascerò qui di occuparmi, per questa volta, di
due dei migliori ristoranti di Arlon, dei quali abbiamo
ormai detto tutto quel che c'era da dire e che dunque ben
conoscete: il bizzarro autogrill
dell'AC Arlon e il leggendario ristorante
dell'AC Arlux, possa sprofondare negli inferi sepolto
da una montagna di pane riscaldato a microonde e stagnolette
di burro rancido.
Ciò premesso, sappiate innanzitutto che la cucina
belga non esiste, a meno che naturalmente non si
decida di omologare la potage
du jour ed il grottesco cosciotto violaceo di
cinghiale con tonnellata di patatine fritte, pinta di Orval
e rutto libero, come cucina tipica belga. Va da sé
che i due piatti citati sono ovviamente le specialità
dell'Arlux.
Altra premessa fondamentale: ad Arlon, più che mangiare,
si beve. Il che fra l'altro spiega molte cose, ma di questo
parleremo un'altra volta. Solo qualche testimonianza in
proposito:
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Un inquietante
"aperitivo della casa" a base di
azoto liquido
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Misura standard
di un "tres petit cognac"
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Tipica cena
in un ristorante di Arlon
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Il vostro
titolare qui, apparentemente alterato, ripreso
clandestinamente da un collega durante una cena ad
Arlon
(non è che esiste anche il filmato su YouTube,
vero?)
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In un paese che non esiste, caratterizzato da una cucina che
non esiste, la sopravvivenza del malcapitato trasfertista
(quella del residente belga non saprei) è affidata
ad un pugno di ristoranti etnici che vi permettono virtualmente
di completare un giro del mondo gastronomico in meno di un
paio di settimane, al termine delle quali non vi è
purtroppo alcuna garanzia che il vostro stato di salute coincida
con quello di partenza. Ma, del resto, di Viaggi si
parla qui, mica di Tonino il fidato pizzaro sotto casa vostra.
E peraltro, parlando di pizzari, è quasi inutile che
vi dica che i ristoranti italiani ad Arlon battono Resto del
Mondo in media 4 a 1, nel senso numerico del termine. Con
una particolarità, però: che qui i ristoranti
italiani sono italiani davvero, gestiti da italiani trapiantati
in città ormai da anni, che oltre a far cassa stanno
anche dietro alle pentole (o davanti al forno a legna). Del
resto bisogna riconoscerlo: il Belgio non sarebbe il Belgio
senza gli emigranti italiani - ai quali ormai mi sento inevitabilmente
ed affettivamente legato - e d'altra parte l'emigrante italiano
in Belgio mica va a Bruxelles, nooo, macché, ad Arlon
viene. E di solito apre una pizzeria.
Il primo giorno che misi piede ad Arlon (una data che rimarrà
scolpita nel mio curriculum e nella mia psiche), all'ora di
pranzo un collega ebbe pietà di me e mi salvò
dalla frustrante mensa aziendale, portandomi in centro città
da "Enzo
Milano": lì ho bevuto la mia prima Orval
e ho imparato subito ad odiare tutta la pseudoliturgia che
dovrebbe accompagnare il giusto modo di versare una Orval
nel bicchiere da Orval, per cui se ti stappi un'Orval e te
la versi come cavolo ti pare c'è sempre qualcuno che
ti fa notare che l'hai versata troppo rapidamente, o troppo
lentamente, o troppo a scatti, o con il gomito troppo piegato
all'interno.
Ora, diciamolo: l'Orval è una normalissima ed anonima
birra trappista che, come tutte le birre trappiste, non c'azzecca
un tubo con le birre da pasto, men che meno con la pizza,
e comunque servita fredda fa schifo. Oooh, l'ho detto.
Di per sé Enzo Milano è sufficientemente anonimo
come tutte le pizzerie italiane all'estero: le tovaglie sono
a quadri rossi e bianchi, le pizze non sono male e ci si può
mangiare anche altro - io, che sono notoriamente un ateo miscredente
dedito al fast-food ed alla scelleratezza alimentare, una
volta ho perfino provato le troffie al pesto, sopravvivendo.
La vera particolarità, comunque, è che Enzo
costa come Gualtiero Marchesi epperò non accetta l'Amex.
Ti mangi una Margherita, la paghi come fosse placcata oro
e quando la metti in nota spese ti vergogni e ti riprometti
di vivere per una settimana a carote bollite.
Altre note: da Enzo, come in tutte gli altri ristoranti italiani
in Arlon, si parla italiano ed anche l'unico cameriere autoctono
è costretto a parlare con l'accento di Locri.
Per onor di cronaca devo anche dire - prima che qualcuno del
mio team venga qua dentro a massacrarmi nei commenti - che
qui mi è capitato di dover rimandare indietro l'unica
bottiglia di vino della mia vita perché sapeva di tappo.
O meglio: io me la sarei anche bevuta (non riesco a immaginare
nessuna scena più imbarazzante del dover rimandare
indietro una bottiglia di vino), ma i miei giovani tàngheri,
dopo essersene scolata metà con la scusa di assaggiarla
a turno, mi hanno flagellato pubblicamente costringendomi
a richiamare il finto cameriere di Fuorigrotta ed Enzo in
persona. Naturalmente da allora non ci sono più tornato.
I concorrenti più in voga di Enzo sono "Pinocchio"
ed il suo spin-off, "Chez
Geppetto". Si va indistintamente da uno o dall'altro
a seconda dei giorni, tipo oggi è martedì, Pinocchio
è chiuso, allora chez Geppetto. In realtà
queste due pietre miliari della ristorazione, diciamo così,
di Arlon, sono assai diverse fra loro, pur essendo vero che
Geppetto è nato da una costola di Pinocchio e che è
evidente il legame simbiotico ancestrale fra i due ristoratori,
che condividono le stesse tovagliette di carta con impresse
le reciproche pubblicità.
Pinocchio è il classico pizzaiolo amicone che ti dà
del tu e ti chiede di tua sorella anche se è la prima
volta che ti presenti, sei in gessato d'ordinanza e ti sei
fatto scaricare da un'auto blu con la scorta. A fine cena
ti offre sempre il limoncello. Poi un limoncello. Poi un limoncello.
E infine un limoncello, proprio l'ultimo l'ultimo, eddai,
prima di uscire sotto la pioggia. A me il limoncello di Pinocchio
fa schifo, però non oso dirglielo.
Il pizzaiolo di Geppetto è rasato, tatuato, piercing-ato
e molto, molto, molto muscoloso. Anche lui parla con accento
di Locri, ma il suo è vero. Anche lui è amichevole,
forse. Ti racconta sempre di quando l'Italia ha vinto i mondiali
lo scorso anno, loro avevano il locale pieno di francesi e
belgi, e quando Grosso ha segnato il rigore sono saliti sul
bancone a fare il gesto dell'ombrello ai cinquanta clienti
ubriachi e incazzati, stappando spumante a fiumi (lo sottolinea
sempre, preciso: *spumante*, non champagne).
Ogni volta che ci vado, a fine cena il pizzaiolo di Geppetto
mi fissa negli occhi a tre centimetri di distanza, e mi chiede:
"Com'era?"
Buonissima.
In ogni caso, vi consiglio i suoi spaghetti alla pescatora
(buonissimi...).
"Chez
Faty" è un altro ristorante italiano.
Solo che il cuoco è un marocchino. Trapiantato in Belgio.
Ora, converrete con me che è come sparare sulla croce
rossa, ma ci va a pranzo il direttore di stabilimento, che
è anche il mio cliente. Quindi chez Faty si
mangia da dio. Consiglio le penne alla diable, che
poi sono la variante maroccobelga delle penne all'arrabbiata.
Oddio, più che arrabbiate direi che si sono svegliate
male, ma se non sbagliate il vino possono anche andare.
Adesso però non vorrei che crediate che qui si frequentino
solo i ristoranti italiani. Noi siamo viaggiatori veri e,
per dirvela tutta, da bravo professionista, mi sono fatto
un tour approfondito della Arlon gastronomica, proprio in
onor vostro e senza (ahimè) risparmiarmi. Spero dunque
che apprezziate il lavoro del vostro corrispondente.
Il prossimo capitolo sarà quindi dedicato all'esplorazione
degli abissi perversi nei quali è possibile precipitare
volendo fare i brillanti con i ristoranti davvero etnici
di Arlon. Vi anticipo solo una cosa: il bicchiere della prima
foto in alto, quello da cui si innalza una colonna di fumo
inquietante dovuta a una fiala di azoto liquido immersa nell'aperitivo,
me lo hanno servito da "Le Grecò", uno dei
due ristoranti ellenici di Arlon, noto per il perenne stato
di ubriachezza molesta del suo proprietario. Giuro.
Stay tuned. |
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Ho deciso di fare sul serio. Intendo, questo in fondo è
un sito web di servizio. Metti che qualcuno di voi voglia
(?), o debba (ah, ecco) venire ad Arlon ed abbia bisogno
di informazioni: da oggi basterà cercare Arlon
su Gugl per accedere a questo preziosissimo tarocco della
Lonely Planet interamente dedicato alla regina (bah) delle
Ardenne belghe, il palcoscenico perfetto per ambientare
Morte di un commesso viaggiatore, quale in fondo
mi sento da quando vivo qui in trasferta. Per esigenze di
semplicità vi risparmierò i soliti capitoli
introduttivi della Lonli: malattie virali (io mi
strafogo regolarmente di cozze), viaggiatori gay, donne
sole ed anziani (ad Arlon non ci sono nemmeno viaggiatrici
giovani accompagnate ed eterossuali), rischi dell'insolazione
e dell'ipotermia (piove sempre, punto) e jet-lag (Luxair
vola al massimo a Tenerife con un cargo-charter).
Non vi garantisco di andare oltre il primo capitolo della
saga, anzi, per dirvi la verità mi sono già
annoiato, ma vediamo che ne esce fuori. Tutto sommato
ho ancora un po' di tempo da trascorrere qui, le serate
in albergo sono lunghe, la tv locale è devastante
e la scorta di libri la uso già per riempire le colazioni
e le cene. Sappiate anche che le fotografie di questo "servizio",
scattate durante una pausa pranzo grazie al mio nuovo fedele
compagno
di viaggio del quale non smetterò mai di
cantarvi le meraviglie, mi sono costate una bella lavata:
sono rientrato in ufficio completamente fradicio, vittima
dell'amichevole meteo locale. Poi dite che non vi voglio
bene.
Allora, Arlon: capoluogo della provincia del Lussemburgo
belga, pare che sia la città più antica del
Belgio, ma nemmeno loro ne sono tanto sicuri. Diciamo che
qualcosa dovevano pur vendersi e del resto a nessuno freguntubo
di contestarne il primato. Giassapete che Arlon si trova
in Vallonia e nelle Ardenne: per inciso, la Vallonia è
la metà meridionale e francofona del Belgio, in contrapposizione
alle Fiandre, che si trovano a nord e dove si parla fiammingo.
Le Ardenne sono una regione divisa fra Belgio e Francia.
Fin qui nulla di nuovo, immagino.
Arlon dista meno di dieci chilometri dal confine con il
Lussemburgo, e poco più da quelli francese e tedesco.
Bruxelles è a centoottanta chilometri di autostrada
in direzione nord, Bastogne a quaranta. Insomma: un insignificante
punto microscopico su mappe molto dettagliate. Fine della
localizzazione geografica.
Il clima di Arlon fa schifo: piove e tira un vento da urlo,
sempre. Direi che non c'è null'altro da aggiungere.
Non portate l'ombrello, è del tutto inutile: ho visto
più ombrelli sfasciati dal vento ad Arlon che filippini
in metropolitana a Milano.
Siti web: non vi parrà vero, ma c'è l'imbarazzo
della scelta. Dal sito
ufficiale della Ville d'Arlon, al sito
dell'Ufficio Turistico, ad Info-Arlon,
eccetera.
Poi, naturalmente, c'è sempre Wikipedia.
Where to stay: capirete che per compilare questo
paragrafo dovrei farmi il giro di tutti gli hotel di Arlon
ed io ormai non posso assolutamente tradire i miei amici
dell'Arlux,
dei quali vi racconto da mesi. Del resto vi ho già
anche recensito l'AC Arlon con ben due-post
dedicati. A titolo di cronaca posso dirvi che il resto dei
miei colleghi si divide, più o meno, fra il Peiffeschof
e l'Hotel
de la Gaichel. Il primo dei due è
disperso in campagna, visto dall'esterno sembra piacevole,
è perennemente avvolto dalla nebbia e se nevica ci
vuole la motoslitta per raggiungerlo. Dicono anche che ci
si mangi bene e che le camere siano piuttosto piccole. Nel
secondo ci va a dormire il mio capo, è altrettanto
disperso nelle campagne circostanti (anzi, è proprio
oltre confine, in Lussemburgo), non ci si mangia - non tutte
le sere perlomeno - e chiude alle dieci di sera: se rientrate
più tardi dovete farvi dare le chiavi. Per inciso:
ad Arlon chiude tutto alle dieci di sera e forse
anche prima.
Se avete un po' di euro da buttare dalla finestra, comunque,
il vostro posto è lo Château
du bois, del quale tutti parlano un gran bene: chi
ci è stato racconta di indimenticabili serate trascorse
nella jacuzzi con la coppa di champagne in mano, accompagnate
da musica da camera suonata dal vivo in esclusiva dall'orchestra
sinfonica belga al completo e seguite da rilassanti nottate
in compagnia delle leggendarie massaggiatrici di Saarbrücken.
Non consigliabile se alle otto del mattino seguente avete
una riunione in agenda. Peraltro, va anche detto che lo
Château du bois si trova... - anzi, non si trova proprio,
a meno di non perdersi di notte nei boschi circostanti e
vederlo apparire all'improvviso illuminato dalla luna piena.
Come suggerisce il nome - e se non ve lo suggerisce studiate
il francese - trattasi di un castello un po' sinistro:
una roba tipo Rocky horror picture show, per intenderci,
e capirete che con il clima di queste parti, tuoni, vento
e saette, non è che personalmente muoia dalla voglia
di andarlo a visitare.
Getting there and away ad Arlon, ma soprattutto away:
Luxembourg Findel international airport, a circa 45 km di
autostrada da Arlon. E' il modo più veloce per scappare
e, ahimé, la mia porta di accesso settimanale alle
Ardenne. Una bella auto a noleggio presso uno qualunque
dei dieci rent-a-car di Findel vi risolverà
molti problemi. Per esperienza personale posso dirvi che
se prenotate un gruppo B con Avis, e avete un po' di fortuna,
potrebbe anche capitarvi di andarvene in giro a pari prezzo
con una Mercedes classe C nuova fiammante: le auto gruppo
B scarseggiano da queste parti e l'upgrade forzato è
gratuito. Certo, a me è capitata anche una Kia
Cerrato e ho impiegato mezza giornata nel parcheggio
dell'Avis per trovarla, non avendo la minima idea di cosa
esattamente dovessi cercare.
Infine, per sopravvivere è necessario anche mangiare,
lo so. Ma questo argomento, perdonatemi, parlando di Arlon
richiede tempo. Non voglio bruciarmi in poche righe la splendida
opportunità di condividere con voi le mie esperienze
gastronomiche nelle Ardenne. E poi devo ancora fare qualche
esperimento per poter essere un po' esaustivo. Abbiate pazienza
e nel frattempo godetevi un po' di Arlon, quella vera, sotto
il diluvio di quest'oggi.
A breve dunque - forse - la seconda puntata: mangiare ad Arlon.
Ho già in archivio un paio di foto sufficientemente
inquietanti, ma vorrei essere un po' più scientifico
e metodico. Avrei anche bisogno di raccogliere qualche intervista
con i colleghi più esperti che hanno avuto occasione
di varcare le soglie di alcuni locali nei quali io non ho
ancora avuto il coraggio di entrare. Stay tuned. Il vostro
affezionato corrispondente dalle Ardenne. |
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Ed è così che al mio trentottesimo volo su Lussemburgo ho provato l'ebbrezza del doppio atterraggio: leggete, vento da sballo peggio del solito, supposta volante che ci dà dentro con i motori, visibilità zero fino a pochi metri da terra. Solo che quando l'abbiamo vista, la terra, eravamo troppo alti sulla pista e l'aereo sembrava un vagone impazzito sulle montagne russe di Disneyland. E quindi, proprio pochi secondi prima di toccare il suolo, su il carrello, motori tirati al massimo, prua di nuovo verso le nuvole e tenetevi forte che ci riproviamo fra un po'...
Ecco, dovessi proprio dire, non il massimo per iniziare una nuova settimana nelle Ardenne. |
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Emilia
posta direttamente da una regione del Perù, dove
è in corso un'ondata di maltempo eccezionale che
sta causando inondazioni e perdite umane.
[via Mantellini] |
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