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L'Harenda,
dicevamo. Più in centro di così. Poi, avete
un bel dire delle camere 2x3 con porta imbottita, come le
celle per i matti, dei corridoi tipo Shining, del
due stelle stile impero sovietico in decadenza, della moquette
strappata e macchiata color verde palude al tramonto, del
microcesso che però, credetemi, quelli giapponesi
non so se ricordate, del letto singolo da uno e ottanta
secchi per cui i piedi non ce n'è, stanno fuori e
la rete è pure sfondata, della colazione che vabbè,
del neon, delle crepe nei muri, degli uffici che affittano
le camere e delle camere che stanno a fianco degli uffici
e insomma che problema c'è, ci si arrangia no?
Però, intanto, il wi-fi c'è ed è bello
bello gratuito, alla faccia dello Hyatt e del Sobieski,
tanto per dire.
Però, se vi dico centro, intendo centro, centro centro,
così in centro che se apro le finestre (non ce n'è
bisogno in realtà, non riesco a farle stare chiuse)
sbatto le imposte contro le mura del castello reale. E allora?
E allora la sera finalmente si esce, fossero anche le dieci
quando metti il naso fuori dall'ufficio, si esce. E si va
in centro, o meglio *siamo* in centro. Harenda forever,
hasta siempre. Alla faccia dei tremilastelleduecentoeurinottecolazionedasognoesclusa
a dieci chilometri di distanza.
A Warszawa, per la cronaca, fa un freddo papero. Tipo che
siamo arrivati lunedì con trentaquattro gradi, di
colpo la temperatura è precipitata a dieci e noi,
naturalmente, non si è portato nulla. Nemmeno la
giacchettina impermeabile di emergenza. Nemmeno la magliettina
della salute. Nemmeno il maglioncino che fa' il bravo, mettitelo
sempre in valigia. Noi questa volta no, perché dopo
un mese di tourné in Europa orientale con temperature
tipo Burkina Faso a ferragosto, 'sta volta si era detto
e no, ebbasta, e su, si parte leggeri leggeri. Appunto.
Dieci gradi sì e no, vento tagliente dalla steppa
e polacchi che se ne vanno in giro in cappotto. Noi, camicia,
niente sotto, giacca pinguino estivo sopra. E morire.
E infine, Warszawa a pieni voti. Rispetto al ricordo che
ne avevo, promossa con abbraccio. Il che, Gianluca ed io
concordi all'unanimità, ci porta al fine a dirvi:
Praha, Warszawa, Budapest, Zagreb. Ai punti. E a margine,
club Ulisse di nuovo in tasca, anche lui.
Mo' però me ne vado una settimana in montagna. Ne
riparliamo poi. Sempre più grazie al telefonino tremegapixel
che contribuisce ad arricchire l'archivio, e stay tuned.
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Warszawa,
tomba del Milite Ignoto
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Warszawa,
il nostro campo base
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Warszawa,
Palazzo Staszic
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Warszawa,
Plac Zamkowy
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Warszawa,
Rynek Starego Miasta
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Warszawa,
Świętojanska
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Warszawa,
Palazzo Radziwiłł
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Warszawa,
Castello Reale
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Warszawa,
Rynek Starego Miasta
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Warszawa,
Plac Zamkowy
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Warszawa,
Palazzo della Cultura
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Warszawa,
Chmielna
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L'ultimo e recente
commento a questo post (caspita, dopo l'intervento
di Ermanno Salvaterra in persona, la storia dell'alpinismo
si è di nuovo affacciata su Orizzontintorno!) mi
ha dato lo spunto per tornare a documentarmi sulla vicenda
di Buhl alla Nord-Est del Badile e provare a risolvere la
questione.
Scrive Hermann Buhl in "E' buio sul ghiacciaio"
(ed. originale della SEI, 1960): "Soddisfatto, mi
lascio cadere su uno dei grossi lastroni che ricoprono la
cima, per godermi un bel meritato riposo. Sui volti degli
italiani leggo entusiasmo e stupore. Si accostano, si presentano,
uno dopo l'altro. Mauri, Ratti... A questo punto tendo l'orecchio.
Questi nomi mi suonano familiari, appartengono all'élite
dell'alpinismo italiano."
Ora, siamo nel 1952. Vittorio Ratti è morto nel 1945
durante la Resistenza. E quindi chi diavolo era quel Ratti
in cima al Badile nel luglio del 1952 che Buhl cita fra
"l'élite dell'alpinismo italiano"?
Google non mi aiuta un granché. |
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Per la prossima settimana a Warszawa ho cambiato albergo
ancora una volta. Il Sobieski
non è male, ma voglio avvicinarmi il più possibile
al centro della città vecchia. Così ho prenotato
lo stesso albergo dove Emanuela ed io soggiornammo durante
il nostro viaggio
del 2000 in Polonia, il (per noi) mitico Hotel
Harenda, due stelle, un nome un programma.
In realtà non ho un brutto ricordo dell'Harenda,
più che altro era un po' drab. Comunque Gianluca,
che mi ha anticipato di un giorno ed è partito oggi,
è appena arrivato all'hotel e mi ha mandato questa:
Mi sa che devo prepararmi.
N.B. Anche la scorsa settimana a Budapest
ho cambiato hotel. La scelta è caduta sul K+K
Hotel Opera, in pieno centro a Pest e a due passi
dal parlamento. Ottimo. |
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Secondo Alitalia, o almeno, secondo chi produce i contenuti per le proiezioni durante i voli Alitalia (avete presente quei brevi video che vi introducono alla città nella quale state atterrando?), "Budapest, the capital and the largest city of Hungary, straddle the Rhine". Epperò. |
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Caro amico pendolare, eccomi ancora a te. Perché
ti ricordi di me, vero? Sono quello di Saarbrücken.
Come va il tuo SUV, tutto bene? E in tangenziale? Ecco,
a proposito di tangenziale, sai che c'è, è
che anche io c'ero stamattina, proprio lì dietro
di te.
Caro amico pendolare, io questa mattina mi sono svegliato
alle sei e venti, puntuale con la sveglia, e sì,
hai ragione, è strano. Pensavo la stessa cosa mentre
mi rotolavo coccolone nel lettone e mi dicevo mmmmh,
sì, adesso mi alzo, ancora un attimo please, ma guarda
quanta luce c'è già a quest'ora, e dire che sono
le sei e venti... le sei e venti, sì... giusto, perché
ho messo la sveglia alle sei e venti, come al solito, no?...
No, miseriaccia eva! Il solito un cazzo! Alle CINQUE
E VENTI la metto la sveglia di solito, io, perché
alle sei e trenta io devo stare *già* in tangenziale,
porcaccio giuda santissimo.
Caro amico pendolare, io questa mattina ho iniziato la giornata
fiondandomi gių dal letto ad una velocità
pari a quella del suono - infatti mi muovevo pių
rapido dei santi che tiravo gių nel frattempo - perché
a mezzogiorno avevo in agenda la prima di un'infinita serie di riunioni
a Budapest, e per arrivarci, a mezzogiorno in ufficio a Budapest, dovevo *assolutamente*
prendere il volo delle nove e venticinque a Malpensa. E
se consideri che ero rientrato da Alba solo otto ore prima...
Caro amico pendolare, io questa mattina sono uscito di casa
praticamente in pigiama e con lo spazzolino in bocca, saltando
ovviamente la colazione, e grazie a questo brioso e frizzante
avvio di giornata sono riuscito ad entrare in tangenziale
con soli quindici minuti di ritardo sulla mia usuale tabella
di marcia, che per uno come me che si muove sempre con discreto
anticipo non era nemmeno male. Solo che.
Solo che questa mattina c'era lo sciopero dei treni. E quindi,
amico pendolare, tu e tutti i tuoi dannatissimi colleghi
avete tirato fuori i vostri SUV stracciamaroni e siete venuti
a intasarmi a tappo - alle sei e cinquanta del mattino -
quella che nell'occasione doveva essere la mia pista di
Indianapolis. Eravate MILIONI. E come se non bastasse, appena
inforcata la tangenziale a passo d'uomo, mi sono ritrovato
sotto un pannello luminoso che recitava "11 km di coda
per cantiere". UNDICI CHILOMETRI DI CODA ALLE SEI E
CINQUANTA???
Così, amico pendolare, avendo iniziato a comprendere
che la partita era di quelle drammatiche, ho giocato il
tutto per tutto e a Cinisello sono immediatamente (immediatamente,
sappilo, è un eufemismo in questo caso) uscito dalla
tangenziale per andare a prendere la Nord. Tanto lì
in A4 eravate tutti fermi. Certo, avrei allungato il percorso
di una decina di chilometri, ma almeno sarei uscito dall'imbottigliamento.
Il fatto, amico mio, è che non devo averlo pensato
solo io, perché anche sulla Nord, che è sempre
deserta, eravate a milioni. Milioni, ti dico. Tutti fermi.
E per andare a Malpensa da casa mia, caro amico, non esiste
una terza alternativa, no no. Insomma, per citare uno che
di tangenziali temo ne capisca poco, game over.
Amico pendolare, dalla Nord ho impiegato un'ora solo per
arrivare a riprendere la A4 a Cormano. E a quel punto erano
le otto e quindici. E io, l'aereo a Malpensa, sempre alle
nove e venticinque lo avevo.
Amico pendolare, mi capisci vero? Ancora fermo. Alle otto
e trenta ho intravisto all'orizzonte l'imbocco della Milano-Laghi,
ma ho anche capito che a quel punto potevo arrendermi. Il
primo round era ormai perduto.
Così ho chiamato Alitalia e ho chiesto di spostarmi
sul volo successivo. Che, per la cronaca, era previsto alle
15.15, con arrivo a Budapest alle 16.45. Giornata a puttane,
dirai tu, e invece no bello mio, perché dall'ufficio
di Budapest mi avevano appena fatto sapere che mi avrebbero
spostato le riunioni di conseguenza. Non il massimo, certo,
ma vabbè. Sempre quello di Saarbrücken sono,
io.
A quel punto, amico pendolare, secondo te che ho fatto?
Perché, se sai contare e fare due pių due,
era assolutamente chiaro che ora avrei dovuto essere in
aeroporto al massimo per le 13.30, anche perché sarei
dovuto passare in biglietteria prima di fare il check-in.
E viste le condizioni della tangenziale era altresì
chiaro che di tornare a casa non se ne parlava proprio.
Così ho proseguito. E sono arrivato a Malpensa alle
9.40. Cinque ore e mezza prima del mio volo (e quindici
minuti dopo la partenza dell'altro). E senza ancora aver
fatto colazione.
Sì, amico pendolare. Come prima cosa ho dunque fatto
colazione. Tre ore e mezza dopo essermi svegliato. Due e
mezza delle quali passate in macchina per fare sessantacinque chilometri.
Poi mi sono cercato un posticino, mi sono messo il pc sulle
ginocchia, e ho lavorato un po'. Confesso, ho anche chiuso
gli occhi e credo persino di essermi appisolato per una
mezz'ora. Diciamolo, amico pendolare: quasi quasi mi stavo
anche rilassando un po', nonostante l'avvio di giornata.
Caro amico pendolare, alle 14.40, senza aver pranzato perché
tanto pranzo in aereo, mi sono presentato puntuale
al gate per l'imbarco. Solo che.
Solo che nel frattempo c'era stato qualche problemino nello
spazio aereo austriaco, proprio sulla nostra rotta pare.
Maltempo, dicevano. E così il volo è stato
spostato di un'altra mezz'ora avanti. E, quel che è
peggio, ho avuto pure la sfiga di trovarmi sullo stesso volo
di "quello che si incazza". Hai presente
quello che si incazza, amico pendolare? Quello che perde
subito la pazienza, e vuole parlare con il responsabile
(e chi sarebbe, Giuliacci?), quello che io prendo questo
aereo tutti i giorni ed è sempre la solita storia,
quello che insulta le hostess di terra e se la prende con
loro e dice che per fortuna che adesso Alitalia va in fallimento
così le licenziano tutte e la finiscono di prendere
per il culo (sic) la gente, e che alza sempre pių
la voce e cerca (quasi inutilmente, per fortuna) consenso fra gli altri passeggeri, e si
mette pure a bestemmiare, e la hostess, bontà sua,
senza battere ciglio gli fa notare che a) lei non è
solita occuparsi della transitabilità degli spazi aerei
e b) soprattutto, lei *non è* di Alitalia, ma di
SEA, e a lei che Alitalia vada o meno in fallimento, le
fa una pippa.
Al che però "quello che si incazza" si
incazza ancora di pių e, ahimé, trova pure
la solidarietà di un altro come lui, e quindi proseguono
in stereo, e vogliono parlare anche con il presidente della
repubblica, e Roma la deve finire di mangiarci i soldi,
e prima o poi terroni di merda (sic) ve la facciamo vedere
noi, e insomma, si va avanti così per un po' finché,
spazientite, le hostess e un "responsabile" a
caso della SEA chiamato ad intervenire, pur di toglierseli entrambi dai maroni,
ci fanno salire sull'aereo.
Dove, con tono molto amichevole e pacifico, in grande serenità,
il comandante ci annuncia che passeremo almeno un'altra
ora, perché - guarda un po' - lo spazio aereo austriaco è chiuso
per maltempo.
E allora il tipo si rialza dal suo posto e, questa volta
inferocito, travolge le hostess e *vuole* parlare con il
comandante, perché lui non li sopporta pių
questi romani che ci prendono per cretini e ci raccontano
balle (sic), e vuole farglielo vedere lui come si deve lavorare
e, soprattutto, governare il traffico aereo del pianeta.
Il suo socio di incazzatura, poi, pretende anche di vedere
sul computer di bordo la giustificazione della chiusura
del nostro slot di volo. Io inizio ad avere le allucinazioni,
anche perché, naturalmente, dentro l'aereo sotto
al sole la temperatura va alle stelle e io, ovviamente,
non ho ancora pranzato.
Amico pendolare, voglio fartela breve. Io sono decollato
da Malpensa alle 16.30, e sono atterrato a Budapest alle
18.00, esattamente mentre tu, suppongo, te ne stavi ancora fermo,
sì, in tangenziale, ma sulla via del ritorno
a casa, con l'aria condizionata e il tuo impianto stereo
da diciottomila euro a palla. Io invece sono sceso a Budapest, ho
trovato 38 gradi (il comandante aveva detto 34, ma il tassista
ha infierito e ha detto thirtyeight), ho mangiato solo
un tramezzino Alitalia al formaggio e paté d'olive
(questo passa il convento) e la mia giornata lavorativa
è iniziata *a quel punto*. Perché sono dovuto
andare direttamente in ufficio. Esattamente dodici ore dopo
essermi svegliato.
Capisci, amico pendolare, perché ci sono giorni, pių di altri, in cui
ti odio?
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Quello delle 9:25 per Budapest, nella fattispecie. |
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C'è qualcosa di pių trash (e triste) del
cenare da soli alle dieci di sera nel ristorante (vuoto)
dell'albergo di un paese in provincia di Cuneo, vestiti
come dei pinguini (senza cravatta, lasciata al volo in camera),
mentre in sottofondo passa un cd dell'orchestra di Fausto
Papetti che suona Fred Bongusto?
Non so, telefonare a Telemarket e comprare un tappeto durante
una televendita del principe Abijan alle tre del mattino? |
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Gira in rete roba che non dovrebbe girare. Tipo una sera
in quel delle Langhe, i reduci delle Ardenne
al gran completo giunti per l'occasione da ogni dove, e
alcuni segnali premonitori.
Il vostro titolare qui, che si fregia metaforicamente (e non)
di sedere alla destra di colui che paga, per fortuna non è
facilmente rintracciabile. Ché del resto era ancora
un po' sotto jet-lag, e non solo. Ad esempio, qui,
qui
e qui.
E altro sparso in giro, ma lasciamo stare.
(*) Irrisolvibile. |
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Monza Park:
Leonardo, table and chair
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