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Perché la società Autogrill ha sostituito il panino alla mortadella, il cui successo era evidente dal fatto che alle undici del mattino era già inesorabilmente esaurito sull'intera rete autostradale, con il panino alla mortadella e provola, che fa schifo e che non vuole nessuno, anche perché la provola non c'entra nulla con la mortadella?
Perché dovrei comprare una mappa di Cuneo?
Perché negli autogrill vendono il libro di Avril Lavigne e, soprattutto, perché Avril Lavigne ha scritto un libro? Perché Ken Follet non riesce a scrivere libri con meno di dodicimila pagine? E come fa a sfornare libri di dodicimila pagine con quella frequenza? Dan Brown e Ken Follet chattano di notte su Skype e fanno a gara a chi è pių logorroico? Ma poi, qualcuno davvero compra i libri (quei libri) in autogrill?
E c'è qualcuno che ha mai comprato uno dei prosciutti appesi nel reparto gastronomia dell'autogrill? O le casse di vini regionali? O la raccolta di successi di Elvis? O la confezione di 5 penne Bic a sfera?
(*) Per la cronaca, io ci ho vissuto un anno e mezzo in un autogrill, in particolare presso quello dell'area di Firenze Nord, lato ovest, ai tempi in cui la società Autostrade era mio cliente e avevo lì l'ufficio. Sono insomma uno studioso del fenomeno sin dai tempi del debutto della Rustichella. |
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Lenny Kravitz a Sanremo che stringe la mano a Pippo Baudo. |
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Terza cima di stagione, il Piz Lunghin in Engadina, una montagna
che in anni passati avevo già salito un paio di volte. Tre
cime su tre dopo anni di inattività: epperò! Soprattutto,
salita in solitaria: ho macinato i quasi mille metri di dislivello
allo stesso ritmo che tenevo pių di dieci anni fa. Il mesetto
speso a correre e ad andare in piscina sta evidentemente iniziando
a dare qualche risultato apprezzabile.
Tornare a fare una salita in solitaria dopo tutti questi anni è
stato un passo importante. A metà degli anni '90 avevo fatto
diverse salite da solo, anche a qualche 4000.
Ero molto allenato e, soprattutto, grazie a tutto quel tempo passato
in montagna fra ghiacciai, rocce e neve di tutti i tipi, avevo preso
quella confidenza con l'ambiente d'alta quota che iniziava a permettermi
di muovermi in totale autonomia con un accettabile margine di sicurezza.
Era una questione di testa, molto prima che di gambe, e la testa
c'era, anche se ovviamente una delle ragioni era proprio il sapere
di poter contare totalmente sul mio stato di forma. La confidenza
con l'ambiente è un elemento imprescindibile per evitare
di cacciarsi nei guai e per non farsi male, innanzitutto.
E proprio la mancanza di confidenza, o meglio, la confidenza completamente
perduta, è stata la prima causa del mio fallito tentativo
di tornare in alta quota due
anni fa sulla Weissmies. Lo scrissi anche
allora: le gambe c'erano, o meglio, in qualche modo mi ci
avrebbero anche portato in vetta, ma era la testa a non esserci
pių. Smarrita negli anni di inattività.
Così ieri pomeriggio, quando ho capito che non avrei trovato
un socio per la salita di oggi nemmeno a pagarlo, ho dovuto far
due conti con me stesso. Se devo riprendere davvero, non ce n'è:
devo ritrovare anche quella confidenza smarrita, e devo tornare
a imparare a muovermi (anche) da solo.
Non che fossi convinto, eh? Anzi. Però, il vantaggio di essere
da soli inizia a casa mentre fai lo zaino: nessuno ti obbliga, non
ti senti costretto né trascinato. Puoi sempre decidere, in
qualunque istante, che non te la senti e smettere di infilare roba
dentro allo zaino, o girare la macchina a metà strada e tornare
a casa, o fermarti all'inizio della salita a prendere il sole senza
fare un metro di pių. Sei solo tu a decidere: se fai un passo
in avanti è perché ti senti di fare un passo in avanti.
Senza naturalmente dimenticare che per prima cosa viene la sicurezza
- da soli non c'è spazio per gli errori, punto - poi viene
il divertimento, e solo per ultima, nel caso, la cima.
Ho scelto il Piz Lunghin perché è una salita che conosco
bene e so che è comunque sempre frequentata da qualcuno,
è una classica dell'Engadina. E ho puntato la sveglia alle
cinque e un quarto.
Questa mattina alle cinque e mezza ero ancora a letto che mi rigiravo:
no, non ero proprio convinto e avevo un sonno bestia. Ma sapevo
che sarebbe stata una giornata spettacolare e l'alternativa era
di tornare a dormire, svegliarmi alle dieci e andare al massimo
a far vasche in piscina. Non me la sarei perdonata. Così,
ho tirato su lo zaino e i miei dubbi e sono partito. Tanto posso
sempre girare la macchina a metà strada e tornarmene a dormire.
Al Maloja, alle nove del mattino, si schiattava già dal caldo
e la giornata era da incorniciare. All'attacco della via di salita
eravamo solo in quattro gatti però: uhm, non il massimo,
speravo ci fosse pių gente. Peraltro ero anche l'ultimo arrivato.
Ancora dovevo prepararmi che quelli erano già bell'e partiti
e scomparsi in alto.
Una cosa è certa: se voglio salire fino in vetta - ammesso
di farcela - devo riprenderli e superarli, perché non ho
alcuna intenzione di scendere per ultimo totalmente da solo, senza
nessuno dietro di me in grado, ci fosse mai bisogno, di aiutarmi.
Sicurezza innanzitutto.
Così mi ficco l'iPod in testa e, per nulla convinto di andare
molto in là, inizio la mia salita.
Il problema del Piz Lunghin è che la via discesa, negli ultimi
duecento metri, non è la stessa di salita. La parte bassa
della montagna è una sequenza di brutti salti rocciosi intervallati
da canaloni pieni di neve, alcuni dei quali portano fin gių
alla strada del Maloja, mentre altri finiscono invece nel vuoto.
Dal basso la via di discesa è evidente, ma dall'alto, se
non è ben tracciata, è tutt'altra storia. Per salire
si percorrono i primi cento metri di dislivello su uno stretto
sentierino che taglia una cengia rocciosa e dà accesso diretto
alla parte alta dei canaloni. Il sentiero si sale
spesso a piedi con gli sci in spalla, perché è un po'
ripido e non c'è quasi spazio di manovra con gli sci. Con
la neve di questi giorni - tanta, fonda e dopo le dieci del mattino
irrimediabilmente fradicia - scendere a piedi di lì è
comunque praticamente impossibile, a meno di non volersi fracassare
una gamba sprofondando nei buchi coperti di neve fra le rocce.
Così, appena risalito il sentierino e infilati gli sci, mi
guardo attorno: già... e poi da dove scendo? La neve
trasformata di questi giorni ha cancellato completamente le tracce
di discesa, confondendole fra migliaia di rughe e buchi nella neve.
Un discreto casino. Evito di pensarci per il momento, non serve
a nulla: il sole splende a palla, ho Pat Metheny in cuffia, scorgo
un centinaio di metri sopra di me il gruppetto che mi ha preceduto,
e dunque mi avvio. Fin dove arrivo arrivo.
Be', arrivo fino in vetta, poco meno di tre ore dopo e dopo averli
ripresi e sorpassato alcuni di loro. Tombola. Toccherei il cielo
con un dito, anche perché, in effetti, in vetta a una montagna
la sensazione è sempre un po' quella. Ma il gruppetto che
mi fa compagnia da lontano decide di fermarsi lassų e qualcuno
di loro scende pure sul versante opposto della valle. Così
non ho scelta: devo iniziare a scendere da solo e devo muovermi,
perché ormai è l'una del pomeriggio, la neve è
completamente trasformata e pesantissima, e con le gambe che mi
ritrovo di questi tempi non sarà una passeggiata
ridiscendere i mille metri di dislivello in queste condizioni.
Infatti una passeggiata non è, affatto: impiego quasi due
ore a scendere, me ne faccio una buona parte addirittura a scaletta
affondando fino alle ginocchia nelle neve fradicia e in un paio
di occasioni mi infilo pure in dei buchi fra le rocce che mi inghiottiscono
letteralmente fino alla vita, per uscire dai quali divento matto.
Un massacro, complicato dalla difficoltà di dover riuscire a ritrovare la
via di discesa in mezzo a tutti quei canaloni pieni di neve fonda
e fradicia. Togliersi gli sci è assolutamente impensabile,
manovrare con gli sci è un disastro. Ho tutti i nervi all'erta
perché non posso permettermi né di cadere né,
meno che meno, di farmi male, e con questa neve fonda e pesantissima,
piena di buchi e rocce nascoste, è un bell'affare mica no.
Quando arrivo finalmente a metter piede sull'asfalto della strada
del Maloja quasi lo bacio. Sono letteralmente sfinito. Disidratato,
cotto, esausto. Però felice: ho portato a casa la mia cima
in solitaria e, francamente, non ci avrei scommesso una lira questa
mattina. Soprattutto, sono ritornato gių intero.
Credo che al prossimo giro, se il tempo va avanti così, non
sceglierò un versante sud.
P.S. Naturalmente, mentre mi stavo cambiando al parcheggio della
macchina, ho visto su in alto alcuni dei tipi che avevo raggiunto
in vetta scendere a serpentine elegantissime e strettissime in mezzo
ai canaloni di neve fradicia dove io ero appena affondato come il
Titanic e stavo quasi per chiamare l'elisoccorso svizzero.
Il che mi suggerisce che la strada per rimettere le mie gambe in
sesto è ancora parecchio lunga...
P.P.S. Comunque il vero dato di fatto è che stamattina, prima
di partire, pesavo 82,3 Kg. Secondo il mio computer da polso stellare
oggi ho bruciato 2.817 KCal. Stasera a casa pesavo 82,4 Kg.
Per dire.
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Salendo al Piz Lunghin
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Il ripido pendio
sotto alla vetta del Piz Lunghin
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40 metri sotto alla
vetta si abbandonano gli sci
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Dalla vetta del Piz
Lunghin, verso le cime dei Grigioni
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Lo dicevo io. Il mio fido aggiustaossa ha confermato: è colpa della scarpette nuove se mi fanno male le ginocchia da una settimana e non riesco pių a correre. Per opporsi al pronamento, forzano un movimento per me del tutto innaturale. Prognosi: tornare a correre con le vecchie scarpette e usare quelle nuove solo per camminare, almeno per un po' di tempo. Se non dovesse funzionare, buttare le scarpette nuove nel caminetto.
Nel frattempo, per consolarmi e rimediare alla settimana di corsa andata perduta, ci ho dato dentro con il nuoto. Non si molla qui, no no. Per ora. |
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Stasera ho dovuto saltare per la prima volta la mia sessione sul
circuito di Alba: ancora troppo male alle ginocchia, da lunedì.
Inizio a pensare seriamente che la colpa sia dovuta
alle scarpette.
E così rischio di bucare l'intera settimana.
Peraltro, come prevedibile, ho annullato gli effetti dell'ultimo
mese in una sola mezz'ora al ristorante dell'hotel.
Sono depresso. |
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Il mio amico Luso mi ha appena fatto notare che il nostro (nel senso, il suo, il mio e di una manciata di altri personaggi come noi che fra un paio di righe si riconosceranno immediatamente) è un universo inesorabilmente suddiviso in as-is e to-be, dal quale non c'è alcun modo per noi di evadere, indipendentemente dal tipo di lavoro, di business e di cliente con il quale abbiamo ed avremo a che fare per tutto il corso della nostra vita professionale.
E dunque mi appresto a passare le prossime notti guardando il soffitto, nel vano tentativo di rispondere al dubbio se, effettivamente, sia davvero possibile o meno uscire da questo schema e sviluppare una qualunque delle nostre presentazioni sulla base di regole esistenziali e filosofiche completamente differenti.
So di aver rovinato il pomeriggio a buona parte di voi. |
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Così, dopo sedici mesi trascorsi all'estero, da un paio di giorni ho iniziato una nuova avventura a due passi da Corso Como, Milano (per i non milanesi: Corso Como è ancora - credo, nemmeno io sono molto aggiornato in materia - uno degli ultimi luoghi dove Milano si beve) e, come dire, mi sento un po' puzzled, anche perché io sto a Corso Como, Milano, come un operaio della Magneti Marelli sta alle sfilate di Valentino.
Fra una cosa e l'altra era un bel po' che non facevo il pendolare sulla mia città di riferimento e adozione e, dovessi dire, non ne sentivo affatto la mancanza, anzi. L'ultima volta, poi, che ho preso un mezzo pubblico milanese risale ancora al tempo delle carrozze con i cavalli: mi sembra fosse un periodo di targhe alterne nel 2003, o gių di lì. Capite perciò come oggi io mi aggiri nella metropolitana milanese con la stessa disinvoltura di un immigrato clandestino cinese appena sbarcato in città.
E' così che ho scoperto che.
Uno: apparentemente oggi la metropolitana di Milano arriva in tutto il mondo, isole comprese. A dir la verità, la metropolitana non è cambiata affatto, ma la società MM (Metropolitane Milanesi) deve aver speso un bel mucchio di soldi in un qualche studio di immagine affidato, chessò, a McKinsey o gių di lì, perché adesso se tu scendi in metropolitana e guardi la mappa delle linee ti sembra all'improvviso di essere come minimo a Londra. In realtà le linee sempre tre sono, e sempre con le medesime fermate (be', no, hanno allungato la verde di una fermata), ma il vero colpo di genio è stato trasformare le linee ferroviarie in "Linee di superficie", contrassegnate con la lettera S, per cui in corrispondenza delle stazioni Centrale, Garibaldi, Lambrate, ecc, sono magicamente spuntate una miriade di interconnessioni con queste inesistenti linee di superficie che, ovviamente, sempre Ferrovie dello Stato o Ferrovie Nord sono. Insomma, tu prendi la metro a Sesto Marelli, scendi alla Stazione Centrale e con qualche semplice cambio ti connetti con la Transiberiana per arrivare fino a Pechino. Corsa interurbana naturalmente.
Due: avevo in tasca qualche biglietto ATM che mi avanzava, dal 2003 suppongo. Non solo ovviamente quei biglietti non valgono pių, ma ho scoperto che a Milano è scomparso il vecchio biglietto da timbrare. Siamo come le grandi capitali del mondo adesso, c'è il ticket magnetico, nel senso che sempre di un pezzettino di carta si tratta, ma lo infili in una fessura a monte del tornello di ingresso e ti viene sparato a valle del tornello stesso, dove lo recuperi. Insomma, non è cambiato nulla, ma sono cambiati i tornelli, che sono stati adeguati a quelli delle capitali pių fighe con una spesa, immagino, da paura. Siccome a priori do sempre per scontata la buona fede delle iniziative del mio Comune, suppongo che questa rivoluzione comporti vantaggi che a me sfuggono totalmente, ma che certamente ai veri pendolari sono del tutto evidenti. Per la verità, per i peones come me, ad ogni stazione hanno lasciato un tornello "old style" attraverso il quale passare timbrando eventuali vecchi biglietti (non del 2003, comunque), ma c'è da vergognarsi a transitare di lì, perché tutti ti guardano stupiti tipo maddai, ancora coi vecchi biglietti stai?
Tre: in metropolitana distribuiscono i giornalini gratuiti e questo già lo sapevo, solo che adesso non si tratta pių di una sola testata (e già fa ridere a chiamarla così), ma di un'edicola intera di pseudoquotidiani e persino riviste di parole crociate ed enigmistica. Interessante. Quasi quasi domani ne tiro su una copia.
Quattro: in metropolitana a Milano ti sembra di essere a Londra anche perché c'è un solo italiano per vagone. I milanesi viaggiano (meglio, sono intasati) tutti in superficie con le loro auto.
Infine, non c'entra nulla, ma mi viene così: vorrei spezzare una lancia a favore di Jovanotti, in arte Lorenzo Cherubini. Ora, io ve lo devo dire: Lorenzo a me è simpatico. In fondo siamo quasi coetanei, lui è solo un filo pių giovane di me, ma ogni volta che lo sento a me, come si direbbe dalle mie parti, o pą ūn figgiêu. E' che ci crede davvero, per questo mi è simpatico. Cioè, lui si è fatto crescere la barba con vent'anni di ritardo sui tempi, si è messo il cappello da sandinista e ha iniziato a viaggiare con lo zaino quando ormai la mia (nostra) generazione lo zaino lo ha messo in cantina da un pezzo, dopo averlo consumato per bene, e si è comprata un bel trolley comodo, se capite la metafora. Cioè, lui adesso risale "da solo" i fiumi dell'Amazzonia con la piroga e torna ispirato per registrare un album intitolato Safari. Cioè lui, adesso che viaggia, ha allargato molto i suoi orizzonti e capisce molte cose del mondo, è molto peace and love and fate l'amore non fate la guerra, è molto dalla parte delle cause giuste, e viaggia, viaggia molto da solo, dall'Himalaya all'Africa, dalle Alpi alle Piramidi, e non puoi capire quante cose ha visto, lui. Come Licia Colò, insomma. Cioè, lui c'ha il messaggio adesso (per la verità è qualche anno ormai che ce lo propina).
Resta il fatto che sempre stonato è, e ancora non ha imparato a cantare. Epperò che devo dirvi, a me Fango piace, e lui mi è simpatico. Anche se, comunque, me pą ūn figgiêu.
Ma forse è solo invidia e sono io che sono vecchio. |
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A proposito di Kosovo, tema sul quale magari, prima o poi e con
un po' di tempo a disposizione, questo blog tornerà, c'è
qualcuno che sta raccontando
in diretta quello che accade.
[via Wittgenstein] |
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Puntata numero tre. Riassunto delle puntate precedenti: dopo essere
stato vittima ad inizio anno dell'ennesimo disastroso colpo della
strega, il titolare qui ha improvvisamente dato di testa ed è
in preda ad un incontenibile rush adolescenziale. Da circa un mese
(epperò, è già un mese?) si sbatte fra vasche
in piscina e chilometri per le strade cittadine, nel vano tentativo
di inseguire un obiettivo misterioso, non ancora dichiarato. Di
conseguenza, questo blog ha (temporaneamente?) preso una insostenibile
piega competitiva ed è stato aperto un nuovo thread.
Resta inteso che, qualora il suddetto titolare dovesse vergognosamente
alzare bandiera bianca e arrendersi inesorabilmente alla pancetta
ed al colesterolo (ipotesi peraltro affatto remota), non saprete
mai quale sarebbe stato l'obiettivo.
Ebbene: c'eravamo lasciati con questo.
Ora, lipperlì pensavo di fare il bravo scolaro e seguire
pedissequamente le istruzioni, giusto per non passare proprio proprio
per il classico invasato quarantenne dell'ultima ora, ma poi, pensandoci
bene, perché? In fondo - a questo punto - non è vero
che parto da zero. Ho perfino il mio bel foglio Excel dove annoto
scrupolosamente le mie performance e tengo traccia del calendario
delle varie uscite (ad oggi una decina di misere righe). E dunque.
Ho deciso che potevo affrontare direttamente il livello quattro,
la Fascia Rossa! Non solo: poiché ormai mi sono fissato
con le sedute di un'ora, fatti due conti, per riempire sessanta
minuti ho personalizzato il livello 4 portandolo a sette serie da
6' l'una, intervallate da pause di 3'. Una sfida epocale, insomma,
altro che Pechino 2008.
E così, dopo la mia ormai usuale ora del lunedì trascorsa
a far vasche in piscina (che ormai riesco a fare quasi non-stop
senza fatica), martedì sera mi sono presentato puntuale con
tutina e berretto di lana sul mio ormai noto circuito di Alba (CN),
pronto per il livello 4 modificato.
Ho iniziato facendo il compitino corretto, camminando come da istruzioni
per 5' (sarà che serve a riscaldarsi, ma la verità
è che faceva un freddo porco ed io gelavo) e poi mi sono
sparato la mia oretta di corsa divisa in sette serie da 6' regolarmente
intervallate dalle pause di 3'. In cuffia, a titolo di cronaca,
una compilation di Moby, che alla fin fine sembra essere l'ideale
per dare il ritmo e per distrarmi da quella sensazione di inadeguatezza
e stupidità che non riesco a scrollarmi di dosso, soprattutto
quando mi sento addosso gli occhi dei passanti (ma che c'avete da
guardare? Sciò, aria, pensate alle sigarette vostre, tsè).
Be', cari miei: mi sono (quasi) bevuto anche il livello 4 modificato.
Ero così esaltato che ho salito di corsa anche le due rampe
di scale che portano alla mia camera d'albergo, sotto lo sguardo
sconcertato della receptionist, che ormai, abituata a vedermi uscire
una sera sì ed una no nella mia fantozziana uniforme atletica
balzellando come faceva Mohammed Alì quando entrava sul ring,
si è rassegnata alla mia infermità mentale. Insomma:
ho completato il mio livello 4 modificato e di San Sebastiano nemmeno
l'ombra. Mi sono illuso al punto che, in piena crisi mistica, un'ora
dopo al ristorante ho bevuto solo mezzo bicchiere di Malvirà
e mi sono fatto portare mezza minerale naturale. Capite bene lo
stato.
Però, però. Avevo sempre quel tarlo delle scarpette
che mi aveva messo in testa Gianni nel commento a questo
post. Così, giovedì mattina, dopo la visita
finale dalla mia fisioterapista (- mi raccomando Paschetto, non
esageri però adesso! - Nooo dottoressa, ma si figuri....),
prima di mettermi in autostrada in direzione di Alba, sono passato
dal leggendario Runner Store di Milano. Che è esattamente
come lo ha descritto Gianni.
Ero in tenuta d'ordinanza da pinguino e mi vergognavo come un ladro.
I due tipi del Runner Store, molto atletici, molto dinamici, molto
in tuta, molto yeah, mi hanno squadrato per un istante.
- Si tolga le scarpe e le calze, e si arrotoli
i pantaloni al polpaccio.
- Ecco, sì, scusate se sono venuto in giacca e cravatta,
ma il fatto è che...
- Non si preoccupi, siete tutti così.
Ne vediamo molti. Salga sul tapis roulant.
- Si, ecco, magari mi tolgo anche la giacca che...
- Lei lo sa che ha i piedi piatti?
- Err, sì, ecco io...
- Lei lo sa che prona? Vede come prona?
Lei prona, prona, guardi qua!
Ora, io sono un povero ragazzo del '65. Ho fatto sport agonistico
per una decina di anni e ai miei tempi compravi un paio di "scarp
de tennis" e usavi quelle per tutto. Io ci giocavo a basket,
le usavo per correre i cento metri e ci andavo pure a scuola. Adesso
arrivano 'sti due tizi molto atletici, molto dinamici, molto in
tuta, molto yeah, mi piazzano in giacca, cravatta, piedi nudi e
pantaloni arrotolati al polpaccio su un tapis roulant circondato
da monitor e sensori, e mi dicono che ho i piedi piatti e che prono
come m'avessero trovato l'epatite. Capite che poi, uno, se non proprio
un senso di inadeguatezza, una certa propensione al suicidio la
sviluppa.
Comunque, io prono. Che mi hanno anche spiegato cosa vuol dire:
sono stati lì dieci minuti a mimarmi il movimento dei miei
piedi e a farmi una lezione dettagliatissima per spiegarmi che con
le mie scarpette dozzinali, di lì a poco, sarei rimasto steso
da tendiniti e infiammazioni che nemmeno Ronaldo. Però io
non ci ho capito nulla. Sono rimasto attonito a pensare che pronavo
e che forse, all'improvviso, alla tenera età di quarantatre
anni, mi sentivo un po' complessato.
Ma il peggio doveva ancora venire.
- Lei quanto fa?
- In che senso, scusi?
- Quanto fa? Quanto corre?
- Ehm, be', sa, a dire il vero io ho appena iniziato, cioè,
è un mesetto - ehm - tre settimane che cerco di correre regolarmente
e pių che altro lo faccio per mantenimento, perché
sa, io vado in montagna alla domenica e...
- Quanto fa?
- Ecco io... diec... ott... sette chilometri [bugiardo!] in un'oretta,
due o tre volte alla settimana...
- ...
- Ma vorrei arrivare a dieci, perché...
- ...
- Cioè, lo so che è poco, ma il fatto è che
io vado in montagna e...
- ...
- Capisce?
- Capisco.
Lapidario. Gelido. Silenzio. Mi guardo attorno facendo finta di
nulla. Mi chiede che numero porto. 44. Quello parte e torna con
un paio di scarpette stellari, fosforescenti, corredate di un libretto
di istruzioni alto come quello del mio pc. Taglia 46. Io non oso
fiatare. Infilo. Mi spiega che quelle scarpe sono il massimo concentrato
di tecnologia per quelli che pronano come me, perché è
ormai evidente che io prono un casino, e quando si prona un casino
non ce n'è, è tutta una faccenda di scarpe ipertecnologiche,
che con quelle normali mica ci puoi correre, e saresti un pazzo
a farlo.
Io penso alle mie scarpette da 29 euro comprate da Decathlon con
le quali ho corso benissimo fino ad oggi e mi sono bevuto il mio
livello 4 modificato, ma ormai è evidente che sono completamente
plagiato dal tipo molto altletico, molto dinamico, ecc.
Faccio due passi per il negozio con l'Enterprise ai piedi chiedendomi
se hanno anche l'ABS e l'ESP - in effetti, devo riconoscerlo, sono
comodissime - quando quello mi dice: - Su, esca e corra.
- Come, esca e corra? Dove, scusi?
- Avanti, esca, le provi! Si faccia una corsa
qua fuori.
- Ma... proprio qui fuori in mezzo alla strada?
- Sì, avanti, che devo vedere come
corre! Vada fino al tombino e torni indietro!
- Deve vedere... come corro?
Così esco. Sono in camicia, cravatta, pantaloni del vestito
bello arrotolati al polpaccio, scarpette fosforescenti stellari.
Mi guardo rapidamente in giro, c'è un milione di passanti.
Ma quello mi guarda. Io allora corro, fino al tombino e ritorno.
E, credetemi, mi sento davvero pirla.
Ve la faccio breve. Le scarpette stellari vanno bene, ma lui dice
che si vede che prono ancora. Così me ne porta un altro paio,
io infilo di nuovo, e di nuovo vado fuori a correre. Quello dice
che adesso non prono quasi pių, ma non sono ancora perfetto.
Nuove scarpe, nuova corsa, ma questa volta non si fermi al tombino,
vada, vada fino in fondo alla strada, si faccia una bella corsa.
Io vado, vado fino in fondo alla strada, tutti mi guardano, è
evidente, io faccio finta di nulla, torno e sono un po' sudato,
affaticato e mi sento pirla. Lui dice che ora sono perfetto, io
dico Va bene, allora prendo queste. Mi dice Benissimo,
vedrà che si troverà da dio adesso, e non costano
nemmeno molto. Io tiro fuori la carta di credito, però
è vero, non costano uno sproposito, ma non sono nemmeno regalate,
ecco.
Salgo in macchina elettrizzato (e mi sento ancora un po' pirla),
parto per Alba e non vedo l'ora di provare le nuove scarpette galattiche
la sera stessa sul mio circuito, pronto a bermi nuovamente il mio
livello 4 modificato, anzi, a volare questa volta, visto che finalmente
non prono pių, e chissà come ho fatto tutti questi
anni ad andare avanti pronando in questa maniera.
Alle 19 sono pronto al via. La receptionist mi vede passare, scuote
la testa e riprende a leggere la sua copia di Chi. Inizio
con i famosi cinque minuti di camminata, fa sempre lo stesso freddo
siberiano di due giorni prima e mi riscaldo 'na cippa, ma non prono,
è evidente che non prono, sono troppo elettrizzato. Accendo
Moby. E poi parto.
Un'ora dopo - perché comunque boia chi molla: in fondo alle
mie sette serie da 6' ci sono arrivato - San Sebastiano in persona
mi chiede se deve chiamare l'eliambulanza o se preferisco farmi
tumulare nei pressi della rotonda di Corso Torino. Opto per la seconda
ipotesi. L'allarme del cardiofrequenzimetro sta suonando allegramente
da almeno venti minuti: credevo che fosse un nuovo arrangiamento
di Moby. Mi trascino in camera sui gomiti, provando persino a fare
la rampa di scale di corsa, ma solo per caso non inciampo e non
picchio i denti contro il secondo gradino. La receptionist si gira
dalla parte opposta con una smorfia di disgusto. Mi arrendo un'ora
sotto la doccia bollente. Poi scendo al ristorante e ordino la mia
mezza bottiglia di Malvirà. Praticamente non cammino pių.
Ma non prono pių, ah no.
Comunque aspetto un po' a passare al livello 5, va'. |
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