|
|
|
Riepiloghiamo.
Dopo praticamente sette anni di immobilità quasi totale ho
speso gli ultimi cinque mesi a farmi, diciamo così, un discreto
paiolo, mettendoci pure una certa costanza ed impegno sui quali
francamente a inizio anno non avrei scommesso un cent.
Da quando ho
dato il via a questo patetico tentativo di rimettermi in
carreggiata, tirando fuori per l'occasione qualche residuo sogno
di gioventù rimasto troppo a lungo nel cassetto (e senza
peraltro crederci troppo, almeno inizialmente), sono andato a correre
due, spesso tre volte a settimana, arrivando infine - magnum gaudium,
standing ovation - a
farmi i miei dieci chilometri all'ora come da obiettivo
iniziale. Nel mezzo, ci ho pure piazzato almeno un'ora in piscina
(per quanto la odi) ogni quindici giorni, con punte di cento vasche,
e considerate che a inizio febbraio quattro vasche non stop erano
sufficienti per uccidermi.
Ho persino inanellato qua e là qualche scialpinistica, rispolverando
le mie adorate pelli di foca dopo non so più quanto
tempo, e perdipiù ho messo a segno nel giro di un mese un
paio di rapide salite di allenamento sul Grignone, con tempi che
nemmeno a vent'anni. Imprese che da tempo immemorabile erano ormai
relegate al solo mondo dei sogni, roba da commuovermi quasi.
Insomma, attività fisica a palla come il peggiore degli invasati.
E mi ci son pure comprato le magliettine tecniche, i pantaloncini,
la tutina, il cappellino, le scarpette, e tutto l'occorrente per
il runner fanatico, tipo che una Mercedes in leasing al confronto
è un affare.
Sono riuscito a perdere quattro chili, una bella taglia piena, e
ad abbattere la mia massa grassa di quattro punti percentuali, a
raddoppiare quasi la mia capacità aerobica (anche se poi
quando salgo le scale ho sempre il fiatone e vorrei che qualcuno
mi spiegasse il perché), passando attraverso due o tre classiche
tendiniti da ultraquarantenne impappato (una delle quali, all'avampiede
destro, non mi molla da una settimana), uscendo anche sotto la pioggia
pur di non riunciare ai miei allenamenti settimanali. Cose dell'altro
mondo, dunque.
E poi.
Ho speso centinaia di euro per rinnovare la mia preistorica attrezzatura
alpinistica: scarponi
innanzitutto, un passo del quale ho tutt'ora il terrore di dovermene
pentire a brevissimo, non appena mi renderò conto di quale
strumento di tortura sia celato dietro a tutti quei bei colori che
mi hanno convinto all'acquisto. Perché alla fine non ce n'è,
il criterio di scelta dello scarpone ultratecnico foderato in platino,
prezzo in linea, sta tutto lì: colori intonati alla giacca
a vento, gialla e nera nella fattispecie, come ben sanno gli habitué
di codesto luogo. Che poi vorrei sapere perché proprio gli
scarponi gialli e neri fossero i più costosi della vetrina.
E poi ramponi nuovi, per l'occasione, ché onestamente i miei
vecchi eran datati 1985, ed è sì vero che i ramponi,
volendo, durano una vita e che insomma, per quello che ormai li
uso chissenefrega, ed è anche vero che peraltro ne avevo
comprato un altro paio proprio due anni fa, più leggeri,
giusto per roba tipo andare in Grigna d'inverno. Ma insomma, volevo
un bel paio di ramponi tosti nuovi a dodici punte per sostituire
i miei attrezzi storici, che fra l'altro avevano il pessimo vizio
di sganciarsi sempre nei momenti meno opportuni, il che non è
mai stato troppo salutare, e quindi così ho deciso, ebbasta!
E poi il colore dei ramponi nuovi è intonato agli scarponi,
e dunque alla giacca a vento. Quelli vecchi erano di un triste color
acciaio temperato, 'na schifezza. Questi sono perfetti: gialli e
neri, manco a farlo apposta.
E nemmeno uno zaino nuovo mi son negato, che dopo una dozzina d'anni
di vita il mio vecchio iniziava a mostrare evidenti segni di cedimento
e, diciamocelo, aveva qualche limite strutturale suvvia, ed io volevo
uno zaino nuovo, ecco. Però no, giallo non l'ho trovato.
Ho dovuto comprarlo rosso. Vedi che non compro le cose solo per
il colore? Infatti non sono mica soddisfatto dello zaino nuovo,
e ancora devo tagliargli l'etichetta con il prezzo. Com'è
che non si trova uno zaino decente di colore giallo?
E poi cordini, ché quelli vecchi avevan vent'anni eppiù
e certo andavano ormai in pezzi, anche se poi non è che pure
quelli li usi così spesso, anzi, tutt'altro, ma la sicurezza
è sicurezza no?, e poi i cordini, almeno loro, costano uno
sputo, quindi giù qualche metro di cordino nuovo e non stiamo
a lesinare quei cinque o sei euro, orsù. Colori a piacere
in questo caso, lilla e blu, che con il giallo non stonano, ma non
capisco perché non facciano più cordini gialli come
i miei vecchi.
E un discensore a secchiello, no? Ché il mio ad otto
ormai non lo si vede più nemmeno nei documentari e, per carità,
funziona sempre benissimo, certo, così com'è peraltro
vero che non uso il discensore da, mah, forse quattordici anni?,
ma che vuol dire, un discensore costa pochi euro, anche quello,
e se dovesse capitarmi di usarlo sarò pur contento di avere
il secchiello invece del mio vecchio otto, salvo il
fatto che poi magari è meglio che del secchiello impari il
funzionamento, anche, altrimenti che diavolo me ne faccio? Be',
lo attacco all'imbrago, che il colore si intona perfettamente: è
bello lucido, e nero.
E a proposito, già, l'imbrago: perché pure quello
ho comprato nuovo. Ma son scusato: nei due vecchi che giacciono
in fondo alla cassapanca non entravo davvero più, nemmeno
dopo aver perso quattro chili, e quindi proprio non ce n'era, dovevo
per forza comprarne uno nuovo. Oibò, certo che ne avevo già
comprato uno proprio due anni fa, è vero: peccato che avessi
sbagliato modello e che me ne fossi accorto solo un mese dopo, la
prima (ed unica) volta che mi è capitato di usarlo.
Avevo deciso di prenderlo alto, con l'aggancio al petto,
da buon alpinista dilettante e proprio per non fare lo sborone:
un ritono alle origini insomma. Salvo poi rendermi conto che con
la corda legata all'altezza del petto è praticamente impossibile
chiudere la giacca a vento e che quel tipo di imbrago va bene solo
d'estate sulle vie ferrate, non certo per fare alpinismo in alta
quota.
E dunque questa volta ne ho comprato uno basso, con l'aggancio
in vita, molto fico molto yeah molto giovane e molto sportivo. Soprattutto
molto utile. Soprattutto nero, con gli anelli porta moschettoni
che virano al giallo.
Ah, pure la lampada frontale mi sono ricomprato, ché la mia
vecchia funzionava ancora con le batterie quadrate da un chilo,
quelle con le lamelle, avete presente?, che nemmeno più al
supermercato le vendono. Certo, la vecchia lampada la uso ancora
per andare in cantina quando càpita che salti la luce, e
a pensarci, tutto sommato, in montagna quante volte l'ho usata in
vent'anni? Una? Due? Ma è pur sempre vero che in teoria,
a breve, la lampada frontale mi servirà eccome, e dunque
meglio una lampada nuova, di quelle moderne che tirano anche a cinquanta
metri e illuminano il ghiacciaio di notte manco fosse lo stadio
del pattinaggio, che non la vecchia lampada preistorica con batteria
da un chilo, che solo a indossarla ti viene mal di testa, e illumina
un terzo e dura anche meno. Per non dire che è verde e viola,
quella vecchia.
So che è difficile da crederci, ma il colore della nuova
lampada frontale è perfettamente in linea con gli scarponi,
con i ramponi, con il discensore, con la giacca a vento: nera con
il pulsante di accensione giallo, e non si pensi che l'ho scelta
apposta. Purtroppo non c'azzecca un tubo con lo zaino rosso e diciamocelo,
questo nuovo zaino rosso sta inziando a diventare una seccatura.
Almeno quello vecchio era verde e viola. Toh, adesso che ci penso,
intonato con la vecchia lampada frontale...
E vogliamo infine parlare del nuovo altimetro con cardiofrequenzimetro
che ho usato in questi mesi di preparazione? Be' dài, quello
vecchio era rotto, giuro! Infatti non solo questo l'ho comprato
anche se è arancione, ma ho persino rinunciato ad un modello
giallo e nero che pure avevo visto. E comunque l'altimetro lo tengo
sotto alla manica della giacca a vento, così non si vede
e non mi rovina il pendant.
Insomma, non fosse per lo zaino. Oddio, nel caso proprio non ce
la facessi a sopportarlo c'è sempre la famosa
giacca rossa di riserva che ho pure usato di recente
in Grigna, ma non va bene con tutto il resto, a partire dagli scarponi.
Certo, gli scarponi vecchi sono rossi...
E ancora.
Le sedute dal fisioterapista per farsi rimettere in sesto la schiena,
e gli esami sotto sforzo giusto per dar bene una controllatina,
ché sai com'è, certi rush adolescenziali a quest'età,
ed anche un minimo di dieta, ché altrimenti è del
tutto inutile mettere in piedi tutta 'sta faccenda per poi strafogarsi
di pane e salame e barattoli di Nutella.
E le maledette sveglie alle cinque, ed anche prima, per andare in
montagna almeno qualche domenica, ché non ci si può
mica preparare solo correndo come dei peones lungo la statale in
mezzo alla Pianura Padana.
E le maledette ora di corsa alle otto di sera, usciti dall'ufficio,
con la sola voglia di piantar le gambe sotto al tavolo del ristorante,
altro che andare a correre, e invece.
E (quasi) niente più birra.
E (quasi) niente più pasticci da distributore di merendine
fuori orario.
E piano piano, infine, con il passare delle settimane, un pochino
alla volta inizi pure a crederci davvero e a complimentarti con
te stesso, ché la pancetta se n'è quasi andata, i
polmoni vanno che è (quasi) un piacere (be', oddio), e ci
hai persino preso gusto al di là del vero obiettivo per cui
ti stai infliggendo questo martirio.
Già, il famoso obiettivo trainante di tutto ciò. Il
traguardo finale.
Obiettivo - per onor di cronaca - che nel frattempo si è
un po' ridimensionato, poiché il socio occulto di 'sta storia,
già comparso qua
e là
fra queste pagine, colui insomma che in questa faccenda mi ha spinto
e trascinato un po' come Lucignolo quando istiga Pinocchio, il socio
in questione, dicevo, non potrà purtroppo essere della grande
partita da lui stesso programmata per fine luglio e di conseguenza
nemmeno io potrò esserlo. Target originale saltato, insomma.
A questo punto, dopo avervi tediato per cinque mesi con 'sta storia
del summit quest, per raccontarla tutta si può anche
finalmente confessare quale fosse l'idea all'origine: prendere
una settimana a fine luglio, volare in Caucaso e andare a mettere
nel sacco l'Elbrus.
Mica male, no? Nata per caso una sera di metà gennaio al
pub Matricola, davanti a una birra ed al pc di Massimo che sfornava
a raffica le sue straordinarie foto himalayane: vado a fare l'Elbrus,
perché non vieni?
Già, perché no? Be', magari perché sono anni
che non faccio più un tubo, perché c'ho la panza,
non riesco a salire tre piani di scale, non ho tempo, non ho gambe,
non ho più vent'anni, non ci credo più? E cosa dovrei
fare per (rido amaro fra me e me) provare a crederci davvero?
Mettiti a correre. Solo questo devi fare. Mettiti a correre ed
allenati.
La vetta più alta d'Europa, il primo gradino per inseguire
il sogno (di una vita) di salire almeno quattro o cinque delle Seven
Summit. La mia prima vera spedizione extraeuropea, il mio
nuovo record di quota. Non ci ho dormito una notte intera. E nemmeno
quella dopo.
E poi mi sono messo a correre. Il resto lo sapete.
Invece per quest'anno l'Elbrus non si farà, ma poco male:
innanzitutto perché ora so che è alla mia portata,
che posso crederci davvero e tornare alla carica, magari già
il prossimo anno. Mi basta una settimana. Adesso sì, lo vedo
distintamente davanti a me, un altro dei miei sogni ha iniziato
a concretizzarsi, ormai il processo è irreversibile e inarrestabile.
Di correre non smetto, questo è certo.
Poi, soprattutto, perché tutto lo sbattimento di questi mesi
non è ancora da buttar via.
Il cammino di avvicinamento all'Elbrus prevedeva alcune tappe di
preparazione in alta quota sulle Alpi, l'ultima delle quali è
a sua volta uno dei miei più vecchi sogni irrealizzati. Tutto
sommato il più banale, il più ovvio, il più
semplice apparentemente, ma che per una serie di circostanze e percorsi
di vita non sono mai riuscito a mettere a segno, a differenza di
tutti i miei soci di cordata che hanno ormai appeso la corda al
chiodo da tempo. Proprio la mancanza di soci è stata, fra
l'altro, una delle ragioni per cui questo sogno era finito da lungo
tempo in fondo al cassetto a prender polvere.
E gli anni che passano, e la pancetta che cresce, e i panini al
salame, e la mia corda ormai chiusa nell'armadio ad ammuffire lentamente.
Dovessi dire, forse non ci ho creduto fin dall'inizio che quest'anno
avrei davvero all'improvviso centrato l'Elbrus dopo anni di inattività.
Troppe variabili, troppe incognite sulla strada, troppe novità
da affrontare. Ma visto che per prepararsi ad andare sull'Elbrus,
comunque, era prima in programma la salita del Monte Bianco...
Ed eccoci infine qui.
Pur avendo dovuto rimandare l'obiettivo originale per cause di forza
maggiore, resta dunque quello secondario: il piccolo (piccolo un
cavolo, per voi forse, per me grandissimo) sogno di gioventù
nel cassetto, mai sopìto, tirato fuori e rispolverato per
l'occasione. Sarebbe dovuto servire solo come preparazione ultima
prima del vero balzo finale per l'Elbrus, invece per quest'anno
è diventato dunque il vero traguardo di tutto 'sto sbattimento
e del mio summit quest.
A rifugio già prenotato e ramponi nuovi affilati, si possono
infine metter da parte gli scongiuri: la partenza per il Monte Bianco
è fissata per il 5 luglio. La via di salita in programma
è quella dal rifugio
Cosmique, la cosiddetta via dei trois
Mont Blanc, attraverso il Mont Blanc du Tacul e il Mont
Maudit, una delle più grandi classiche delle Alpi. Discesa
in traversata dalla via normale del Gouter. Tutto messo insieme,
una sberla di circa millecinquecento metri in salita fino ai 4.807
della cima del Bianco, e ben duemilacinquecento in discesa. Ad occhio,
qualcosa attorno alle quattordici ore in ballo, almeno: una strascammellata
come mai ricordo di aver fatto in vita mia, soprattutto a quella
quota, con pure qualche passaggio tecnicamente impegnativo, o quanto
meno che richiede attenzione.
Tutto molto bello, tutto molto elettrizzante, tutto molto fico.
Corro da mesi, ho comprato l'attrezzatura nuova, sono andato per
quanto possibile a sgranchirmi le gambe im montagna. Ché
a me, diciamolo, il Bianco fa paura e mette soggezione. Millecinquecento
metri di salita, fino quasi a quota cinquemila. Duemilacinquecento
in discesa. C'è da allenarsi, altroché, e soprattutto
ora c'è da darci dentro eccome, ché il tempo stringe.
Mi rendo conto solo ora di essermi perso. Perché in realtà
qui voleva arrivare questo post. Semplicemente a dire: "Scusate
un attimo: cioè, tutto 'sto sbattimento da mesi, e mo' che
fa? Va avanti a piovere così? Stiamo scherzando, vero?"
In altre parole: io tiro fuori dal cassetto, dopo anni, uno dei
sogni della mia vita, mi sbatto un casino, sudo - è il caso
dirlo - sette camicie per mesi e mesi, brucio calorie a decine di
migliaia, spendo una fortuna in attrezzatura nuova, e Giove Pluvio
decide proprio quest'anno di rompere i maroni con la peggior stagione
dall'era glaciale che la mente umana ricordi e di mandarmi tutto
in mona proprio in zona Cesarini, a rifugio ormai prenotato? Ripeto,
stiamo scherzando, vero?
No perché, per dirla tutta, mancherebbe meno di un mese al
5 luglio, e nei prossimi tre weekend avrei in programma almeno due
uscite serie in alta quota per rifinire la preparazione, iniziare
ad acclimatarmi all'altitudine, provare un po' gli scarponi nuovi,
riprendere definitivamente confidenza con ghiacciai ed aria sottile,
(approfittarne anche per chiudere quel
conticino lasciato aperto un paio d'anni fa...), insomma
tutta quella roba che serve per arrivare all'appuntamento con qualche
chance di successo, perché poi ci vuole anche un po' di fortuna,
certo, ma la preparazione intanto va assolutamente completata. E
invece le previsioni a medio termine sono, per dirla con un eufemismo
e senza essere troppo volgari, un vero schifo.
Ribadisco, dunque: stiamo scherzando, vero?
No perché io, domenica, dovrei partire per la Svizzera, ché
la Weissmies mi aspetta. E il 28 dovrei essere sul Monte Rosa.
La vogliamo quindi smettere, per favore, ché quest'acqua
ininterrotta sta iniziando ad alterarmi anzichenò e a farmi
girare gli zebedei?
Non è che perché ho
scritto che mi piace correre sotto la pioggia ascoltando Tom Waits
debba per forza essere preso alla lettera. Anche perché,
mi scusi sa, ma per fare i miei ormai consueti dieci chilometri
ho cambiato la playlist da un pezzo e poi guardi, questi
giorni a correre non ci vado nemmeno, ché devo farmi passare
questa nuova tendinite e preservarmi per la salita, adesso.
Insomma, porcaccio giuda, la finisca! E' giugno! Avanti,
fuori 'sto sole e vediamo anche di non fare alzare troppo le temperature,
che i ghiacciai mi servono in condizioni decenti.
A parte tutto: mica posso andare sul Bianco senza aver provato gli
scarponi nuovi! Questo sì che vorrebbe dire andare a caccia
di guai, eccheccaspita. |
|
|
|
|
|
|
|
|
La giornata non è delle migliori, ma sembra concedere una
tregua di qualche ora a questa infausta stagione delle pioggie.
Così, complice il fatto che funivie e rifugi in alta quota
sono per il momento tutti
in pausa stagionale (perlomeno quelli che mi interessano),
decido di continuare la mia preparazione tornando in Grigna, questa
volta per il versante settentrionale. Saliamo per la bella e lunga
cresta di Piancaformia e scendiamo per la via della Ganda, un anello
che in anni passati ho già fatto un paio di volte: con me,
Francesco, Massimo e Roberto, che a quasi 78 anni ha ancora un passo
al quale non è banalissimo tener dietro. Per la cronaca,
Roberto ha salito la Grigna la prima volta settantadue anni fa.
In alto c'è ancora parecchia neve e la giornata non è
proprio caldissima, con il sole che va e viene ed un bel po' di
nuvoloni neri che vengon su dal versante meridionale. Insomma, non
sai se salire in maglietta, con il pile, o prepararti a tirar fuori
la giacca impermeabile, sei sempre lì a mettere e togliere,
sudi come una fontana e congeli appena si alza un filo d'aria fredda.
Quel che è certo è che i guanti sono in fondo allo
zaino e traversare il nevaio del canalone sommitale piantando le
mani nude nella neve per non scivolare (perché non ho portato
la piccozza??) non è esattamente piacevole.
Comunque oggi non sono particolarmente in palla e salgo in un tempo
più o meno normale, più lento di un
mese fa. L'allenamento di questi mesi continua però
a dare i suoi frutti e in discesa riesco a correre per lunghi tratti,
sia sui pendii di neve, sia lungo il sentiero: erano parecchi anni
che non avevo più le gambe per reggere una discesa ad un
ritmo simile e che del resto nemmeno osavo provarci, non fosse altro
per non farmi male. Ancora il mese scorso avevo impiegato una vita
per tornar giù e peraltro abbattere i tempi di discesa è
uno degli obiettivi chiave di questa preparazione, perché
mi servirà eccome.
A proposito: da un po' di giorni sono nuovamente afflitto da una
bella tendinite, questa volta ad entrambi i talloni. Correre quattro
frazioni da dieci chilometri la scorsa settimana, forse, non è
stato del tutto salutare e ho il sospetto che questa discesa dalla
Grigna non mi abbia fatto benissimo.
 |
Cresta di Piancaformia
e canalone nord della Grigna
|
 |
 |
Il titolare qui sulla
cresta di Piancaformia
|
 |
Nel canalone sommitale
|
 |
Francesco e Roberto
(77 anni...) nel canalone
|
 |
Di nuovo in vetta...
|
 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Ho fatto fuori in poco meno di quattro ore i tre volumi di Guy Delisle:
Pyongyang, Shenzhen e Cronache birmane. Ora
sono indeciso se attaccare Sulla punta del fucile di David
Rieff o decidermi a finire Into the wild, che ho piantato
a metà arrendendomi allo slang di Jon Krakauer (tipo che
quando gli prende la mano mi tocca andare ad intuito due parole
su tre). |
|
|
|
|
|
|
|