|
|
|
Poi, parliamo di Rimini: Rimini è quella roba dove da casa mia al casello di Rimini ci vogliono tre ore, dal casello di Rimini al primo semaforo di Rimini ci vogliono tre ore, dal primo semaforo di Rimini al secondo semaforo di Rimini ci vogliono tre ore, e così via di semaforo in semaforo (di Rimini), solo che da casa mia al casello di Rimini ci sono trecentocinquanta chilometri, dal casello di Rimini ai semafori successivi trecentocinquanta metri.
E adesso non so, parliamo del traffico di Milano, Roma e anche Bangkok.
In un Paese, peraltro, ormai devastato dalle rotonde anche nei posti più imbecilli dell’universo, tipo all’incrocio fra un’autostrada a sei corsie e il passo carraio di un fienile abbandonato dalla crisi agricola del 1860, a Rimini ce n’è solo una:
Io a Rimini non ero mai stato. Davvero. Si può non essere mai stati a Rimini (e a Riccione)? Sì, eccomi.
Così è capitato che Leonardo avesse i campionati nazionali di karate a Riccione e quindi via, spedizione sulla riviera romagnola e ci siam fatti campionati (dove il ragazzo, sia detto a titolo di orgoglio paterno, si è portato a casa un argento e un bronzo) e tappa Centodieci a Rimini.
Io, lipperlì, vista l'occasione sarei anche stato preso dalla foga di piazzare bandierine in ognidove attorno, tipo Forlì-Cesena, o Pesaro-Urbino, ma alla fin fine avevamo solo il tempo fra un incontro di kumite e un turno di kata, e Forlì-Cesena, o Pesaro-Urbino, volevan dire prenderne due alla volta, ché se vuoi piazzare la bandierina a Pesaro-Urbino non è che ti basta andare solo a Pesaro, o solo a Urbino. Come quella volta che siamo stati a Massa Carrara, per dire.
Che poi: la menano per anni con l’abolizione delle province, ma intanto Forlì all’improvviso è diventata Forlì-Cesena e Pesaro adesso fa Pesaro-Urbino. D'altra parte quando ho fatto Verbania me ne son toccate tre.
Comunque, insomma no: alla fine siamo stati solo a Rimini (e a Riccione) e la domenica ho portato i ragazzi a San Marino, ché così Leonardo ha piazzato il suo ventesimo Paese (in tre continenti) a soli 11 anni e Carola il tredicesimo (in due continenti) a 8 anni. Talis pater, eccetera.
Dunque, Rimini: io a Rimini non ero mai stato, ché anche da giovine, mentre tutti i miei amici andavano a Rimini, io andavo a Capo Nord in tenda da solo, alle Svalbard in tenda da solo, in Patagonia (d’inverno) in tenda da solo o, nella migliore delle ipotesi, in mezzo al Sahara con una R4 e una sbarra di ferro per smontare gli pneumatici, forgiata dal fabbro di Douz seguendo un disegno che gli avevo scarabocchiato lipperlì su un foglio a quadretti.
Occhei, è vero: sono sempre stato un po’ snob sul tema Rimini, ma dovete prendermi così.
Poi, mica solo Rimini: Rimini e la riviera adriatica intera. Da Lignano Sabbiadoro fino a Francavilla al mare, il concetto di riviera adriatica come l'orrore del colonnello Kurtz.
Così, immaginatemi a cinquant'anni inscatolato in coda per la prima volta a un semaforo di Rimini, sotto la pioggia, il venerdì sera di un weekend di primavera, uno dei primi weekend in cui l’universo intero si muove per andare a Rimini.
E invece. Mi è piaciuta Rimini. Vedi a esser prevenuti. Oddio: mi è piaciuta perché non c'era un cane, nemmeno gli ombrelloni, è stata una bella giornata, ho fatto delle belle foto, abbiamo camminato tanto sulla spiaggia deserta, il mare era una tavola e perfino trasparente, c'erano molte conchiglie ed è stata una giornata di gran serenità e pace.
Costa un tubo, poi, Rimini. Almeno, a maggio, ché ad agosto non so.
Rimini ad agosto, colonnello Kurtz.
Non mi convincerete mai del contrario.
E comunque mai più a Rimini. Al massimo Forlì-Cesena.
|
|
TAG: Rimini, Riccione, San Marino |
|
|
|
|
|
|
|
|
Ah, ma vi ho detto che fra pochi giorni sono a Londra per il concerto di addio degli Who, ad Hyde Park, in occasione del loro cinquantesimo anniversario? Che poi, guarda un po', cade nell'anno del mio cinquantesimo.
Cioè, una delle mie band mito che chiude cinquant'anni di carriera nell'anno dei miei cinquant'anni, con un concerto in centro a Londra. Non so se mi spiego.
Fra l'altro torno a Londra a distanza di trentuno anni dalla mia prima volta. Era ora di un bel refresh, no?
E niente, devo forse dirvi come mi sento con il countdown a -10?
See you there, stay tuned.
|
|
TAG: The Who, British Summer Time, Londra, Hyde Park |
|
|
|
|
|
|
|
|
Per la verità il giro Centodieci a Bolzano l’ho fatto ormai un anno fa, giusto il primo weekend di giugno, epperò il post mi è rimasto fermo fra le dita per tutti questi mesi.
È che a Bolzano in realtà son stato mille e una volta in vita mia, non è che l'occasione in sé fosse una novità. È che quel weekend ero partito coi ragazzi per fare altro: un giro al Gavia e allo Stelvio, e una visita a Juval e ai Messner Mountain Museum, sulle tracce del mio eroe e icona di gioventù.
È che volevo poi scrivere un post su altro, tipo che per una vita ho sempre sognato di ritirarmi, prima o poi, a far vita da eremita in una qualche valle di montagna: una vecchia casa walser da ristrutturare in alta Valsesia, o in fondo alla Valle Anzasca, ai piedi del mio Monte Rosa, o nei prati di Grindelwald, sotto l’Eigerwand, o una baita immersa nel Parco del Gran Paradiso; o al limite, proprio al limite, ad Andalo, nei luoghi della mia infanzia, all’ombra del Campanile Basso.
L’Alto Adige no, non lo avevo mai preso in considerazione. Non che non lo abbia frequentato, tanto da ragazzo, poi di nuovo da adulto, e pur tuttavia in qualche modo mi è sempre rimasto estraneo, sebbene abbia dato i natali alla maggior parte dei miei miti di giovane alpinista.
E nulla, scendendo dallo Stelvio sul versante di Trafoi, dove non transitavo da più o meno quarant'anni, e risalendo poi verso Solda per visitare il primo dei Messner Mountain Museum, lì sotto ai ghiacciai dell’Ortles all'improvviso ho trovato il luogo della mia vita. Così, trasportato quasi dal caso.
Perché io, dell'Ortles, non conosco e non conoscevo quasi nulla. In quella zona qualche anno fa avevo salito il Gran Zebrù e il Cevedale, due montagne meravigliose, peraltro due fra le ultime salite della mia carriera alpinistica, ed era quella la prima volta che mi cimentavo con le vette del gruppo e che mi ritrovavo l'Ortles davanti.
Che strano non aver mai preso in considerazione l'Ortles. Dev'essere stato per quella sfiga che lo accompagna, quel centinaio di metri che lo separano da quota quattromila, il limite del collezionista, la soglia al di sotto della quale non vale(va) la pena sprecar gambe e polmoni per piantare la mia piccozza su una cima. Quella stessa ragione per cui sali lo Shisha Pangma, ma non il Gyachung Kang .
Così, sono arrivato a Solda. Ho visitato il museo di Messner e ho visto la tuta con cui ha salito il Nanga Parbat nella solitaria del 1978, quella stessa tuta che indossava nell'autoscatto sulla cima, la foto di copertina del suo libro più bello, il primo dei suoi che abbia letto, molti anni fa, grazie al quale ho iniziato ad avvicinarmi all'alta quota, a sognare l'Himalaya e a studiare, da allora, tutto quello che c'è da sapere sull'aria sottile, sulla storia dell'alpinismo, sugli uomini e le montagne più alte del pianeta, fino a farne ben più che un hobby, una vera ossessione, il sogno di una vita, l'invariabile risposta alla domanda di ogni colloquio di lavoro: "Come si vede fra dieci anni?". In cima all'Everest.
Sono arrivato a Solda e ho pensato che era esattamente lì che volevo andare a vivere e ritirarmi, che quello era il mio luogo, che avevo trovato le mie radici ai piedi dell'unico ghiacciaio, sulle Alpi, che non avevo mai preso in considerazione.
Che lì ero a casa.
Tu guarda a volte, il caso.
Il Gruppo dell'Adamello, salendo al Gavia da Ponte di Legno |
Il Passo di Gavia, a 2.621m |
Salendo al Passo dello Stelvio (2.758m) da Bormio |
Il versante di Trafoi del Passo dello Stelvio |
Solda (BZ), sede del Messner Mountain Museum "Ortles" |
Castel Juval, casa di Messner e sede del primo Messner Mountain Museum |
La tuta con cui Messner ha salito il Nanga Parbat in solitaria nel 1978 |
Poi nulla, abbiamo dormito in una Trafoi praticamente deserta, ché ancora non era stagione, e il giorno dopo siamo stati a Castel Juval, a casa Messner. Lo abbiamo pure incrociato, Reinhold.
Capirai, per me è stato un po' come andare alla Mecca e imbattermi in Maometto.
A Bolzano abbiamo fatto sosta sulla via del ritorno per farci un gelato e, tanto che c'eravamo, per onorare la quarantottesima tappa del Centodieci, visitando anche Castel Firmiano e il museo archeologico dell'Alto Adige, dove è conservata la mummia di Ötzi. Che si sa, son cose che ai ragazzi piacciono e poi le raccontano ai compagni di scuola.
E che devo aggiungere di Bolzano? D'estate è sempre maledettamente calda, è meno trentina (e meno accogliente) di Trento e meno altoatesina (e meno accogliente) di Innsbruck.
Bolzano per me è sempre stata un po' la Bologna alpina, un crocevia di transito per altri luoghi miei. Dev'essere che da bambino, ogni estate, si partiva da Andalo per venir qui a comprare il loden, ché ai miei piaceva vestirmi con il loden (e i pantaloni tirolesi), ed io da allora non ho mai più messo un cappotto in vita mia (men che meno pantaloni tirolesi con le stelle alpine e le bretelle), giuro. Io i cappotti proprio li odio, figurati quelli verde oliva. Ho sempre attribuito questo fatto al trauma infantile del loden verde coi bottoni di legno.
Va detto che a Bolzano, comunque, fanno sempre ottimi gelati. Anche se la gelateria di quegli anni, quella che mi impilava sul cono le palline una sopra all'altra, quella gelateria non l'ho mai più ritrovata.
Castel Firmiano, Bolzano, sede di uno dei Messner Mountain Museum |
|
|
TAG: bolzano, alto adige, gavia, stelvio, solda, juval, messner |
|
|
|
|
|
|
|
|
Rispetto alla polemica del giorno, che vede protagonista la Lucarelli sui social network, non saprei che dire se non che è un dato di fatto che se non hai le tette grosse purtroppo ti tocca laurearti in ingegneria aerospaziale, fare la pilota militare, parlare quattro lingue e farti sparare nello spazio dentro una supposta di metallo a ventottomila chilometri orari per riuscire ad avere qualche straccio di follower su Twitter.
E adesso torno anche io a fare il blogger e a farmi qualche selfie. |
|
TAG: lucarelli, facebook, cristoforetti |
|
|
|
|
|
|
|
|
Lunedì abbiamo fatto un (primo?) salto all'Expo, così, senza averlo programmato, né con particolari aspettative. Qualcosa del tipo "visto che è qua, andiamo a dare un'occhiata."
Sintesi: un giro merita sicuramente, quasi certamente un secondo e fors'anche un terzo, si vedrà. Non fosse altro perché c'è un miliardo di persone, i padiglioni sono settordicimila e agli ingressi di quelli che dicono essere davvero interessanti (Brasile, Corea, Giappone, Cina, Emirati, per citarne alcuni) le code sono pressoché infinite. Lunedì scorso, nella fattispecie, anche in pieno sole, con una temperatura che, nel caso degli Emirates perlomeno, era perfettamente adeguata al contesto.
Insomma, vista la situazione, a questo giro abbiamo optato per una sorta di panoramica generale, adottando la tradizionale strategia di viaggio che mi accompagna da qualche tempo a questa parte: small, quick and dirty. In altre parole, tanti stand, tutti insignificanti, perlopiù di Paesi a interesse (per il pubblico in generale) zero. Così ci siamo fatti Sudan, Rwanda, Brunei, la Santa Sede (dove ci hanno dato l'immaginetta del Papa), Angola, Bielorussia, Bahrein, Burundi, Guinea, Costa d'Avorio, Etiopia, presi a caso fra quelli che ricordo.
Dice: ma cosa c'è nello stand del Sudan, che in Sudan non c'è nulla? Nulla, appunto. Mi perdoni il Sudan per essere stato preso ad esempio per questa battuta infelice.
Ci siamo concessi solo i quindici minuti di coda necessari per entrare al padiglione del Kuwait (interessante), dove peraltro ci siamo poi fermati a cena.
Ecco, se ve lo chiedete, mangiare all'Expo non è un problema (anche perché è dedicata al cibo, quindi capirai), ma se non volete fare le code per gli assaggini etnici gratuiti potete pagare una pizza come a Tubuai (ultimamente mi sono un po' fissato con Tubuai e con le Falkland, deducetene quel che volete).
La cena al ristorante kuwaitiano, ottima, accompagnata da acqua liscia e tè alla menta, è costata come andarci, in Kuwait.
Poi, com'è l'Expo? È una specie di chilometro di container colorati molto etnici e architetture interessanti, alcune assai belle e scenografiche. Nei padiglioni ci sono perlopiù molti schermi televisivi e distributori di bibite. Si possono comprare i souvenir come negli aeroporti, mangiare - appunto - tanto e variegato e camminare parecchio. Ma parecchio, proprio.
La cosa più divertente è darsi appuntamento con gli amici. Tipo, noi siamo in Germania, voi dove siete? Noi adesso siamo in Zimbabwe, facciamo un salto in Russia, e ci possiamo poi incontrare a Kiribati.
All'Expo Kiribati e Nauru possono per caso confinare con la Germania, il che volendo si presta a giochi divertenti.
Ho caricato in archivio una carrellata di fotografie, se volete farvi un'idea. Qui, giusto un anticipo.
Noi comunque ci torneremo. Con lo zainetto per i panini al salame e due birre.
Padiglione della Bielorussia |
|
|
TAG: milano, expo, Expo 2015 |
|
|
|
|
|
|
|
|
Niente, stasera ero lì alla finestra di casa e mi sono detto dài, fotografo la Luna.
|
|
TAG: luna, cielo |
|
|
|
|
|
|
|