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Leggo che oggi ad El
Chalten ci sono alberghi e strade, agenzie turistiche,
campeggi organizzati e negozi di souvenir. Io riuscii ad
arrivare - e riuscire è il verbo giusto -
ad El Chalten nell'agosto del '90, in pieno inverno australe.
Ci vollero quattro buone ore di faticosa strada sterrata
da El Calafate, e va bene che non c'era neve ed avevano
appena costruito il ponte sul Rio Fitz Roy, così
che da un anno non era più necessario guadarlo con
i cavalli.
Lo stavano costruendo El Chalten, nell'agosto del
'90. C'erano dodici case di legno, tutte uguali, alcune
ancora da terminare. In una viveva Pavarotti.
Io dormivo nella mia tenda, che avevo montato vicino agli
alberi dove Pavarotti legava i cavalli. Il Fitz Roy si innalzava
proprio sopra di me ed all'alba si tingeva di rosso fuoco.
Nella tenda, di notte il freddo condensava sul telo interno
in una patina di ghiaccio. Al mattino dovevo asciugare tutto,
ma con gli scarponi non c'era nulla da fare: umidi e gelidi.
I miei soci spagnoli dormivano nel rifugio di latta, ma
lì dentro faceva un frio que te matava. Almeno
io avevo il mio sacco piuma integrale.
Sento dire che a Shigatse
stanno costruendo grattacieli. Avevamo già alle spalle
parecchie centinaia di chilometri di sterrato lungo la Friendship
Highway, quel pomeriggio di luglio del 2002, quando entrammo
finalmente in paese. Ci sorprendemmo a percorrere l'ultimo
chilometro di strada su un viale asfaltato a quattro corsie,
nuovo di zecca. E poi i soliti nuovi quartieri cinesi, come
già avevamo visto a Lhasa qualche giorno prima. Anonimi,
orribili. Un pessimo mònito ed un triste benvenuto
nella seconda città del Tibet, a quasi quattromila
metri di quota e ad un paio di giorni dal campo base dell'Everest.
Ci rimanemmo male.
Ricordo che a Shigatse il cellulare funzionava perfettamente
e avevo trovato anche un paio di nuovissimi Internet cafè.
Andai dal barbiere dell'albergo a tagliarmi i capelli. L'evento
attirò molti spettatori. Non ne capitavano ancora
molti di occidentali in viaggio da soli, certo nessuno che
si fermasse a farsi tagliare i capelli. Fu divertente e
mi riconciliò con il luogo.
Poi ci perdemmo per i vicoli del monastero e fra le bancarelle
del mercato locale. Comprai lì il mio occhio del
Buddha.
A quanto pare la nuova stazione di Lhasa è un'opera
avveniristica. Sembra che un tunnel la colleghi direttamente
alla città.
E così ce
l'hanno fatta e nulla sarà più come
prima, a meno di non volersi avventurare verso il campo
base del Qomolongma percorrendo la rotta che proviene da
Kashgar.
Resta il fatto che non c'è alcuna ragione al mondo
per farlo. Tranne forse per noi. E comunque è una
ragione anch'essa che presto verrà meno.
E' che se hai dormito in tenda al Chalten ed hai sfidato
l'antica maledizione cinese dell'autobus Golmud-Lhasa non
puoi fare a meno di sentirti un po' come Roy Batty.
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El Chalten
nel 1990
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Fra i vicoli
di Shigatse
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Lhasa, il
quartiere sotto al Potala. Oggi non esiste quasi più
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