Il vero trascorrere del tempo, questi giorni, è tracciato dal blister dei miei betabloccanti. Per quanto la mia mente possa non concepire come sia possibile avere guadagnato un (altro) giorno di calendario e vissuto due volte la stessa giornata, per quanti fusi orari possa attraversare e perdere cognizione dell’alternarsi dei giorni e delle notti nel mio viaggio, il conteggio delle pillole è lì sotto ai miei occhi a ricordarmi che la relatività dello spazio tempo è un concetto molto concreto e misurabile.
Così, io devo prendere una pillola ogni dodici ore. A casa, alle otto di ogni mattino e sera, più o meno. A Rarotonga, dall’altra parte del mondo, è sempre alle otto: facile da ricordare.
Solo che a un certo punto mi rendo conto che qualcosa non torna: il blister ha le pillole disposte su due file, che è anche utile per tenere il conto e non sbagliarsi, magari prendendone due di fila, o accorgersi se si è saltato un giro. Se lo inizi al mattino, ogni giornata è una coppia di pillole.
Una sera a Rarotonga mi accorgo che sto iniziando una coppia nuova e penso di aver sbagliato qualcosa: o ho saltato un giro, o forse ne ho prese due in fila senza rendermene conto. A un conteggio più preciso delle giornate mi rendo conto che ho saltato appunto un giro.
E invece no: mi manca semplicemente mezza giornata. Quella che a casa è già arrivata e a Rarotonga ancora no. Sono io che sono indietro di mezza giornata, non è vero che ho guadagnato un giorno sul calendario, ho solo “vissuto” una notte in più, ma il conteggio assoluto delle ore trascorse da casa, sull’orologio, è ovviamente corretto.
Ecco lì la teoria for dummies dei fusi orari e della linea del cambiamento di data, spiegata da un semplice blister di medicinali.
Così, in America mi trovo a prendere le pillole a mezzogiorno e a mezzanotte, e una volta a casa il conteggio torna ad essere corretto: trenta pillole, pari a quindici giorni.
Non trentuno, non trentadue.
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