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Di nuovo in Cina. Di nuovo in corsa. Via da quell'imbuto di Delhi. E tutto cambia di colpo, all'improvviso.
Ieri notte l'aeroporto si è popolato. Verso le 22:30 andiamo a fare il check-in. L'aeroporto di Delhi fa veramente pietà per essere uno degli scali, teoricamente, più importanti dell'Asia. I counter sono del tutto manuali. La China Eastern Airways fa le carte d'imbarco a mano! E' l'unica compagnia il cui logo non è rappresentato sul tabellone. A dire il vero, sui monitor il nostro è l'unico volo che nemmeno compare.
Il tabellone delle partenze ha solo otto righe... Questo la dice lunga. Il duty free non accetta le carte di credito! Compriamo le tradizionali bottigliette di whishy per raccogliere le prossime sabbie del deserto. Poi ci ritiriamo nella VIP lounge del Taj, forti della tessera fatta all'Annapurna Hotel di Kathmandu. E dopo più di tre mesi, mi leggo il Corriere fresco di giornata.
Il nostro volo è ovviamente in ritardo, partiamo alle 2:30 del mattino. L'airbus 300 è praticamente vuoto: siamo 15 passeggeri e 16 uomini di equipaggio! Incredibile, come avere un Jumbo intero a disposizione, perfetto per la mia paura di volare che ormai mi attanaglia da ieri mattina.
Dormiamo completamente sdraiati sulle file centrali di questo volo MU564 per Pechino, in questo aereo completamente deserto. Il volo dura sei ore e mezza, ed alle 12:00 atterriamo in una Pechino molto più lattiginosa di come l'avevamo lasciata due mesi fa. L'aria è del tutto bianca, non si vede a 200 metri, fa impressione, perché pur non essendo nebbia l'effetto è il medesimo.
Tornare a Pechino è come rientrare alla civiltà dopo settimane. Un aeroporto vero, moderno ed efficiente, turisti, gente, traffico. Che strano...
Che strano volare in qusto viaggio. Eravamo così abituati a vedere cambiare lo scenario intorno a noi gradualmente, con il passare dei giorni... E invece, da Delhi a Pechino in un battito di ciglia. E' un riavvolgimento del nastro indietro di due mesi.
E cinesi che sputano, fanno casino, spingono. E poliziotti di frontiera che non parlano inglese e non sanno nemmeno leggere il loro stesso visto. Fanno un po' di casino con i miei due visti (quello originale e l'estensione di Lanzhou). Quindi, finalmente, un croissant, un caffé, una spremuta d'arancia! Eureka! Peraltro, io continuo a non stare bene per la paura di volare.
Alle 14:00 check-in per Dunhuang, volo WH2156 della Northwestern China Airways. Questo volo fa anche scalo a Yinchuan nello Ningxia, a metà strada esatta fra Pechino e Dunhuang, e poco lontano da Lanzhou. Si vola con un BA 146 e questa volta il volo è pieno. Partenza in orario, alle 15:20. Scalo a Yinchuan dopo 1h 40 m di volo. Questo posto sembra un buco in mezzo al deserto.
Quindi, si riparte e dopo un'altra ora e quaranta di volo sopra l'altipiano lunare del Qinghai e il deserto, atterriamo infine qua, a Dunhuang, 250 km a nord-ovest di Golmud, la prima della famose oasi lungo la Via della Seta, ai bordi del deserto del Taklamakan. Circondata dalle dune, cammelli. Il nostro nuovo punto di partenza. Dove eravamo dunque rimasti?
Praticamente si riparte dalle parti di Golmud... Accidenti, che sbalzo, e che balzo indietro nel tempo, di colpo! Decisamente avvertiamo il salto. L'ora è di nuovo a +2,30 rispetto all'India. 33° gradi all'arrivo, alle 19:30. Aria secchissima, sole sul deserto. Si sta da Dio, altro che il clima di Delhi e dell'ultimo mese intero!!
Iniziamo di nuovo a respirare, è bellissimo. Ma la vera sorpresa è Dunhuang. E i cinesi locali. Dunhuang è una piacevolissima cittadina, pulita, con negozi carini, gente fuori la sera, locali. Un po' rumorosa, ovviamente, siamo in Cina, ma ben diversa da Golmud ad esempio.
E i cinesi...? All'aeroporto un'impiegata della CAAC, con tanto di badge, ci procura immediatamente un taxi per soli 5 yuan. Ci facciamo portare, senza alcun problema, a questo albergo scelto da *noi*, il Shanzou Fandian. Si tratta di un budget hotel molto pulito e carino, in pieno centro cittadino. Il personale è gentilissimo, non parlano inglese ma si fanno capire bene. La loro migliore stanza, una doppia con a/c, tv e bagno, ci costa 240 yuan, 30$. Ci mettiamo anche d'accordo con il nostro tassista, che domani pomeriggio, per 150 yuan, ci porterà sia alle famose cave di Dunhuang che all'oasi per vedere le grandi dune. Eccezionale.
Siamo stanchissimi, ma ormai sono le 21:00 e dobbiamo uscire per cena. Dunhuang è vivissima, ci sono in giro anche altri turisti occidentali. Di fatto, qui ci siamo riagganciati alla famosa Via della Seta, che seguiremo fino in Europa. Mi sento di nuovo motivato e carico, anche se rimane il rammarico per non avere completato l'overland. Ma dopo dieci giorni passati fra la paura della guerra e la paura di volare, di colpo tutto va meglio, perfino i cinesi!!
Cena in un ristorante cinese, e questo come sempre è l'unico neo... Bleah.
Adesso comunque dovremo correre. La strada per Kashgar è lunga e l'obiettivo ormai è di tornare a casa via terra, ma senza per questo rinunciare ai nostri progetti lungo la strada.
Dobbiamo cercare di fare tutto quello che abbiamo in programma, e non sarà facile.
Decisamente siamo tornati in Cina. Non c'è dubbio. E il facile entusiasmo di ieri ha rapidamente lasciato il posto alle solite incazzature.
Il casino inizia alle 6:30 del mattino. Mostruoso. Gente che urla nei corridoi, porte che sbattono, pareti ovviamente di carta velina. In più, altoparlanti in mezzo alla strada che mandano marcette militari a tutto volume. Un inferno per la nostra stanchezza. Fino alle 8:30 è un incubo. Poi iniziano a bussare alla porta perché vogliono rifare la camera. Come al solito non è possibile far capire a questa gente che vogliamo stare in pace a dormire.
Giusto un paio d'ore di calma relativa fino alle 10:30, poi tornano all'attacco. Alle 11:00 gettiamo la spugna e ci alziamo, abbiamo comunque un bel po' di cose da fare.
Iniziano le sorprese: non c'è corrente (e quindi, niente aria condizionata e cesso al buio), e soprattutto non c'è acqua. C'è rimasta solo un po' di acqua bollente con la quale è un casino anche solo lavarsi le mani e che usiamo giusto per pulire il water, poi più niente. Black out totale. Il che è assurdo visto che siamo in un'oasi e l'acqua c'è. Ma le pompe vanno ad elettricità e questa non c'è. Tutta la città è al buio e senz'acqua, tranne una banca che ha un generatore diesel. Neanche in India e in Nepal sono conciati così, questo Paese è assolutamente disastroso.
Ovviamente l'albergo non si sogna minimanente di farci lo sconto. Da notare che la stessa cifra la pagavamo allo Yak Hotel di Lhasa e a Shigaste. Vergognoso.
Sconsolati e incazzati ce ne andiamo fuori a fare colazione. Qua, ovviamente, non si fa. Dobbiamo quindi risolvere il problema di fare il biglietto per andarcene domani in treno... eh eh eh...
In teoria il biglietto si fa al CITS. Da notare che il treno non arriva qui, ma a Liuyuan, 130 km a nord. Qui a Dunhuang bisogna però fare la prenotazione. Nessuno parla inglese e trovare il CITS è un disastro, anche perché apparentemente non è dove dice la Lonely Planet. In un albergo ci danno un indirizzo diverso, che è quello di un altro albergo. Ci andiamo. Anche lì non parlano inglese, o almeno fanno finta, visto che quando proviamo in cinese ci rispondono in inglese. Sta di fatto che impieghiamo almeno venti minuti per due semplici parole, "ticket" + "train", e questo è uno degli alberghi di lusso di Dunhuang. Ovviamente, anche loro al buio e senz'acqua. Peggio di Ronghpu...
Alla fine, la tipa della reception, senza praticamente guardarci, dice solo "ticket", prende il telefono, fa un numero sconosciuto e molla la cornetta in mano a Emanuela. Assurdo! Non si sa chi ha chiamato, la comunicazione è disturbata e comunque dall'altro capo del filo *non* parlano inglese. E siamo da capo. Cioè in alto mare.
Proviamo al nostro scassatissimo albergo. Più o meno riusciamo a spiegarci e ci dicono che l'ufficio per i biglietti del treno è più o meno dove pensavamo di trovare il CITS, ma che comunque è chiuso a causa del black out. La situazione non si sblocca.
Nel frattempo arriva la nostra macchina e allora decidiamo per il momento di andare alle Mogao Ku (Mogao Caves), cave simili a quelle di Bing Ling Si, nel deserto, a 25 km dalla città, dove sono stati scavati alcuni famosi templi buddisti.
La temperatura per oggi è prevista a 37°, comunque il clima è sempre molto secco. Il problema è che si è alzato un vento fortissimo, c'è tempesta di sabbia, il cielo è tutto bianco per la sabbia in sospensione, l'aria è irrespirabile e di conseguenza il tempo è orribile. Il deserto, fuori Dunhuang, è abbastanza impressionante, soprattutto a causa della tempesta di sabbia. Piatto, rovente, sabbioso. Formazioni rocciose che spuntano qua e là.
La strada, asfaltata, è ricoperta da un velo di sabbia sollevata dal vento, e la visibilità è davvero ridotta. Le cave si trovano presso una formazione rocciosa che emerge proprio sul deserto. Qui c'è la prima delusione. Questa "meraviglia" della Cina è stata devastata dai cinesi come al solito. Mega piazzale di asfalto per i pullman, cemento armato da tutte le parti, ristoranti, hotel e, soprattutto, tutte le cave sono state cementate e chiuse con porte di metallo, trasformando così la montagna in una specie di cimitero.
Bisogna lasciare tutto fuori: zaini e macchine fotografiche. Non che ci sia molto da fotografare, però... In teoria si può entrare solo con una guida (pagando anche quella, oltre al biglietto di ingresso, 80 yuan...), ma almeno questa volta riusciamo a farla franca e ad entrare da soli.
Dentro c'è almeno un migliaio di turisti! Quasi tutti cinesi fra l'altro, tutti con il loro solito cappellino colorato che identifica il gruppo di appartenenza. C'è anche una comitiva di italiani che sembrano tanti rambo...! Le cave, come se non bastasse, sono quasi tutte chiuse. Ce ne saranno quasi mille, ma quelle visitabili sono solo una decina e per giunta bisogna mescolarsi ai gruppi, perché le guide aprono e chiudono le porte di metallo a propria discrezione. Che desolazione e tristezza...
Scattiamo un paio di foto da lontano, più per ricordo che per altro, e torniamo in città a vedere se nel frattempo la biglietteria ferroviaria ha aperto. Questa volta abbiamo fortuna e riusciamo ad accaparrarci due posti soft-sleeper per domani sera, per Turpan. Bisogna ora mettersi però d'accordo per raggiungere la stazione di Liuyuan.
In teoria il nostro autista dice di essere disponibile per 150 yuan. E' un po' caro, ma il fatto è che andare in pullman non ci permetterebbe di fermarci nel deserto a fare foto. Qui, fra l'altro, si attraversano le rovine dell'ultima sezione di Grande Muraglia.
Ci facciamo dunque portare alla mitica oasi, Yue Yaquan, "il lago della luna crescente". E' questo un lago situato proprio all'inizio delle dune, che qui sono fra le più alte del mondo. Qui, appunto, inizia il vero deserto del Taklamakan, o almeno la sua parte sabbiosa.
L'oasi si trova a circa 6 km dal centro di Dunhuang. Il tempo però è davvero orribile. La tempesta di sabbia non accenna a diminuire, non si vede praticamente nulla. Come se non bastasse, arrivando all'oasi lo spettacolo è davvero assurdo e deprimente. Nella tempesta di sabbia si intravedono le prime dune, enormi, centinaia di metri di altezza, fantastiche come e più di quelle di Soussousvlei, ma tutto è stato recintato. Hanno costruito un "ingresso" di marmo e cemento armato nero, esagerato, con altro cemento da tutte le parti, centinaia di bancarelle di souvenir, migliaia di turisti, e biglietto di ingresso a 50 yuan!!!
I cammelli aspettano dall'altra parte della porta di marmo nero. Orribile!! Un luogo magico devastato totalmente dai cinesi. Tutto chiuso, non c'è modo di avvicinarsi alle dune, se non questo. La tempesta violentissima ci fa desistere. Inutile pagare l'ingresso, non si vede un tubo e non si può salire sulle dune così.
Vorremmo però sapere che orari fa questo posto (...!). Facile? Alla biglietteria nessuno parla inglese, né peraltro hanno la minima intenzione di degnarci di attenzione. Come al solito, l'unica cosa che sanno fare è prendere i soldi dalle mani della gente.
Tentiamo con un ufficio lì vicino. C'è un cartello con scritto "Asking question". Niente, non parlano inglese. Ma non si sforzano neanche di capire il nostro cinese. Neanche con il vocabolario in mano!!!! Niente, niente, niente, niente. Concetti stupidissimi, "open", "close", "time". No, niente. Glielo mimiamo, glielo disegnamo. Niente. Stupidi, stupidi, stupidi. L'unica cosa, dopo un'ora di scuotimenti di testa, che riusciamo ad ottenere da questa tipa è che, secondo lei, questo posto "apre alle 8:00 e non chiude...MAI"...!! Questa è fuori dal mondo, io mi imbestialisco e me ne vado. Emanuela rimane a provare più pazientemente, ma non ottiene nulla.
Becchiamo infine, a caso, una turista cinese. Spiccica due parole di inglese e conferma, pare, che non c'è orario e che l'ingresso alle dune non chiude mai... Secondo loro si può entrare anche di notte. Sono proprio curioso... Secondo me stiamo per incazzarci ancora di più.
Sta di fatto che prendiamo qualcosa da bere e molliamo il colpo. Proveremo domani mattina all'alba. Certo, svegliarsi alle 5:00 per venire qui e poi magari l'ingresso è chiuso...
Alle 19:00 torniamo in albergo. Per qualche motivo sconosciuto il nostro autista cambia idea per domani, ci pianta in asso senza nemmeno avvertirci e noi rimaniamo senza macchina! E così domani abbiamo anche questo problema da risolvere. Assurdo oltre ogni logica!
Nessuno ci ha rifatto la camera in albergo. E si rifiutano di farci fare il check-out alle 15:00 di domani invece che alle 12:00. Litigo, mi incazzo. Niente. Non abbiamo avuto l'acqua tutto il giorno, né la luce, né l'aria condizionata, tutte cose che abbiamo pagato. Ma questi stronzi non ci fanno un regalo di tre ore. Io li ODIO tutti!!
La serata finisce con una cena di merda in un ristorante di merda. Non c'è niente da fare: io e i cinesi proprio non ci intendiamo. L'impatto "felice" è durato solo una serata, giusto perché sono stato preso per stanchezza.
E riprende la corsa verso ovest. Stanotte finalmente entreremo nello Xinjiang, un'altra delle nostre tappe fondamentali. Non sarà come entrarci dal Kunjerab Pass, ma ormai quello è un capitolo chiuso, e del resto questa rotta era ben il nostro "piano B". Insomma, entriamo dalla leggendaria Turpan sulla Via della Seta, da nord, invece che da sud. Ma sempre lì arriviamo.
E di nuovo in treno... Il nostro viaggio è davvero ricominciato, è passato quasi un mese da Kathmandu ed è stato il mese più vuoto in assoluto. Certo, un mese fa tondo tondo arrivavamo a Ronghpu...
Questa mattina sveglia alle 5:30, l'alba è ancora lontana. L'aria è fresca e ferma, si va di nuovo a Yue Yaquan. Quando scendiamo in strada Dunhuang dorme ancora tutta ed è deserta. Passa un taxi e lo fermiamo. Per 10 yuan ci porta all'inizio delle dune. Quando arriviamo sta iniziando ad albeggiare e lo spettacolo su queste enormi, e davvero impressionanti, montagne di sabbia "sarebbe" stupendo.
Sarebbe, perché nonostante l'ora, il buio e il "freddo", ci sono già centinaia di cinesi in gruppi organizzati, una ressa incredibile, decine di carovane di cammelli numerati (!) che vanno e vengono lungo le piste artificiali, file di cinesi su tutte le dune più alte circostanti, qualcuno addirittura ci ha passato la notte e sta ancora scaldandosi davanti al fuoco.
Né nel Namib, né nel Sahara, né nel deserto arabico, né nel Gobi abbiamo mai visto niente di simile. Addirittura sono state tracciate alcune piste per gli slittini sulle dune più alte, e sono state piantate scale di legno per scalarle. C'è una pista di atterraggio per velivoli ultraleggeri, mezzi fuoristrada, musica e chiasso, chiasso, chiasso.
L'alba sulle dune riesce ad essere magnifica lo stesso. Ci vuole una buona ora e mezza di arrampicata faticosa per riuscire a raggiungere la vetta di una duna di un paio di centinaia di metri di altezza, e togliersi per quanto possibile dalle balle il maggior numero di cinesi. Dalla nostra vetta scattiamo a fatica qualche foto discreta senza folla e prendiamo la nostra solita bottiglietta di sabbia. Il tempo è bello e fresco fin verso le 9:00.
Poi, si alza il vento, come ieri, ed è venuto il momento di andare via. Il nostro tassista, incredibilmente, ha capito che gli avevamo chiesto di venirci a prendere e si presenta puntuale. Altri 10 yuan e ci riporta in città. Tentiamo l'impossibile e gli chiediamo se è disposto a portarci fino a Liuyuan nel pomeriggio. Non fa una piega, capisce al volo, accetta per 120 yuan! Incredibile, stento a crederci, un cinese sveglio. Certo, ha uno scassatissimo Suzuki Maruti microscopico, senza aria condizionata, in pezzi, e dobbiamo fare 130 km di deserto rovente e vuoto ad oltre 40 gradi sotto il sole a picco e nella tempesta di sabbia. Ma vabbè, non ci facciamo scappare l'occasione.
Finalmente, risolto anche questo problema, e dopo un po' di spesa per affrontare il viaggio, alle 10:30 andiamo a fare colazione (!) e poi in albergo a riposare un po' e a lavarci per scrollarci tutta la sabbia di dosso.
Come previsto, e dopo altre incomprensioni e litigate (oggi non funziona l'aria condizionata) alle 12:00 veniamo letteralmente buttati fuori dalla camera. A turno, Emanuela ed io ci incazziamo con questa gente e diciamo loro quello che pensiamo del loro hotel e del loro servizio, ovviamente senza nemmeno essere guardati in faccia e ottenere alcunché.
Ce ne andiamo a mangiare qualcosa verso le 14:00, giusto per sbollire un po'.
La giornata è molto calda, lattiginosa e, come ieri, ventosissima.
Alle 15:00 si parte con il nostro amico, che di nuovo si presenta puntualissimo. Fantastico. Il viaggio per Liuyuan è bellissimo. Si attraversa inizialmente una parte di deserto salato allagato, davvero strano ed inquietante. La temperatura è altissima, in teoria sono le 15:00, ma questa è l'ora di Pechino e quaggiù, a migliaia di chilometri di distanza, è come se fossero le 13:00.
La tempesta di sabbia soffia a raffiche violentissime, il cielo è bianco latte e in certi punti la visibilità è davvero ridotta. Dopo circa 40 km si attraversano alcune spettrali rovine della Grande Muraglia. Il panorama sembra di un altro pianeta. Foto e ripartiamo in questa tempesta rovente.
La strada è bella ed asfaltata e c'è anche un po' di traffico. Si attraversa un'area che ricorda molto la zona di Mandaal-Ovoo, nel Gobi: piatta, di ghiaia, rovente e inesorabile. Solo che qui è bianca, a Mandaal-Ovoo era nera. Impressionante, comunque. Viaggio decisamente piacevole, in ogni caso, e bello. Non soffriamo neanche troppo il caldo a dire il vero.
Alle 17:00 siamo a Liuyuan. Il nostro treno è alle 20:06 e non ci resta che aspettare in stazione. Ci sono tantissimi turisti cinesi e giapponesi, qualche americano, canadesi. Siamo nel pieno della stagione turistica e su una rotta famosissima.
Il treno per Turpan è nuovo e bello, sicuramente uno dei più belli e puliti che abbiamo preso. Dividiamo lo scompartimento con la capobanda giapponese e la collega cinese di un gruppo organizzato di giapponesi. Arrivano da Hiroshima, 6 giorni per tutto il tour... Giappo-tour, appunto. Facciamo un po' di conversazione. Sono sconvolte dal nostro viaggio. Fuori, bel tramonto sul deserto.
E così si va a Turpan. Domani altra sveglia mostruosa, arrivo previsto alle 5:43...
E finalmente siamo nello Xinjiang, un'altra delle grandi tappe di questo viaggio, il vero ingresso in Asia Centrale. Certamente la tappa più difficile da raggiungere.
Nottata di dormiveglia in treno, mostruosa sveglia alle 4:30. Siamo completamente storditi. Alle 5:45 il treno arriva alla stazione di Daheyan, dove si scende. Daheyan si trova a 58 km dall'oasi di Turpan. E' ancora buio pesto, qui in Xinjiang l'ora di Pechino è del tutto assurda, siamo migliaia di chilometri ad ovest della capitale. L'aria è caldissima già a quest'ora. L'area di Turpan, ai bordi del Taklamakan, è la seconda depressione al mondo, tocca i -158 metri sotto il livello del mare, ed è la regione più calda della Cina, oltre ad essere una delle più roventi al mondo, con punte di oltre 50°. Alle sei del mattino, al buio, l'ora più "fredda", siamo certamente sopra i 30°. Ma bisogna dire che l'aria è secchissima, quindi non si sta male.
Sta di fatto che l'ora reale sarebbe un paio d'ore indietro rispetto all'ora di Pechino (alla stessa longitudine, l'India è due ore e mezza indietro ed il Pakistan tre ore).
Contrattiamo un passaggio dal primo tassista che incontriamo e per 100 yuan ci facciamo portare a Turpan, quasi 60 km a sud in mezzo al deserto del Taklamakan, una delle oasi più famose lungo la Via della Seta. Sulla macchina, la solita vW Santana scassata, siamo in quattro: noi due, l'autista e una "guida" che parla inglese, entrambi di etnia uyghura, l'etnia dominante. Parlano uyghuro, scrivono con alfabeto arabo, sono musulmani. Siamo in teoria ancora in Cina, ma, come già in Tibet, anche qua è un altro mondo, altra gente, altra lingua. Altra atmosfera. Sì, siamo in Asia Centrale, finalmente!
La macchina infila uan strada nel deserto e scivola nella notte, nel buio totale, in mezzo a questa piana infinita inquietante. Abbaglianti e luci lontane nella notte. Finestrini aperti e aria buia che è già rovente. Gli occhi cercano qualcosa nel buio del deserto, ma non si vede nulla.
Alle 6:30 è ancora buio pesto, alle 7:00 inizia lievemente a schiarire. Arriviamo a Turpan e in qualche modo è un po' uno shock. Mi aspettavo (ingenuamente) un villaggio uyghuro in mezzo ad un'oasi, e trovo la solita cittadina cinese pulitissima, moderna, con enormi e larghissimi viali alberati, ancora addormentata e buia. A causa dello strano fuso orario pechinese, qua tutti gli orari seguono una ora non ufficiale, chiamata "Xinjiang Time", che è un paio d'ore indietro rispetto all'ora di Pechino. Ufficialmente però (e assurdamente) l'ora in vigore è quella unica cinese. Il solito principio idiota della "Cina unica".
Ci giriamo un po' di alberghi in questa strana ed inattesa città. E' proprio alta stagione e non è così facile trovare posto. I nostri improvvisati soci uyghuri, che parlano bene inglese (e tedesco, cinese, giapponese...) ci portano infine a questo hotel, niente di che, ma decente e centralissimo. Doppia a 180 yuan, circa 22$.
Questi uyghuri si dimostrano immediatamente più svegli e socievoli dei cinesi che, come già i tibetani, odiano e considerano invasori. Ci diamo appuntamento sul tardi con la nostra "guida" per valutare le sue offerte, e ci fiondiamo a dormire. La giornata è prevista "fresca"... Minima a 28°, massima a 39°...
Sveglia molto faticosa alle 13:30. C'è da preparare il tour dei dintorni per domani e, soprattutto, la ben più complicata traversata del deserto del Taklamakan per raggiungere Kashgar. Da qui, infatti, sarebbe in teoria possibile andare direttamente a Kashgar in treno, con una nuovissima ferrovia, in sole 24 ore. Ma noi vogliamo attraversare il deserto, vogliamo vedere questo famoso Taklamakan dall'interno e attraversarlo tutto, così come abbiamo fatto nel Gobi. Il treno è certamente più comodo, più rapido e molto, molto più economico, ma gira attorno al deserto e non sarebbe lo stesso viaggio nello Xinjiang. Vogliamo il Taklamakan.
Andiamo a discutere la cosa con il nostro amico uyghuro al John's Café, l'unico posto in paese che offra una colazione occidentale e che è il luogo di ritrovo dei turisti. Qui ci sono comunque molti più giapponesi che occidentali, e comunque molti tour organizzati.
Il nostro tipo si dimostra un vero businessman. Per domani ci propone il giro standard della regione qui intorno, con alcune varianti proposte da noi, a 350 yuan. Un po' caro, ma meglio che aggregarsi ai tour organizzati in minibus dagli hotel.
Gli spieghiamo poi il nostro piano per raggiungere Kashgar. Abbiamo studiato a lungo ed abbiamo scoperto che non è necessario andare fino ad Urumqi, capitale dello Xinjiang, ma che da qui possiamo direttamente puntare a sud, verso Kashgar, e guadagnare almeno altri due giorni. Il nostro piano prevede dunque di attraversare il Taklamakan in tre giorni ed arrivare a Kashgar per il 20 agosto.
Lui ci propone macchina + driver + guida english speaking a 4.500 yuan. Più o meno è quello che ci aspettavamo. Da qui a Kashgar sono oltre 2.000 km, e in più la macchina deve tornare indietro! Gli diciamo che ci penseremo.
Andiamo dunque a verificare al CITS...! Dopo un inizio che, come al solito, tira sberle, l'impiegata cinese del CITS all'improvviso si sveglia e diventa persino simpatica! La trattativa va per le lunghe. Dopo oltre un'ora chiudiamo a 4.300 yuan, stesso servizio. Ogni eventuale giorno extra ci costerà 500 yuan.
Il fatto è che, a parità di prezzo, o anche poco più, in questo caso io avrei comunque preferito il CITS. Confesso infatti che l'idea di attraversare il Taklamakan con degli sconosciuti che ci hanno agganciato di notte alla stazione di Daheyan, da soli, non mi esalta particolarmente. Certo, non succederebbe niente, ma almeno in questo caso usiamo un'organizzazione governativa. In ogni caso, la tratta verso Kashgar è a questo punto di nuovo preparata. Era l'ora!
Attraversiamo quindi una Turpan ora rovente, sono circa le 18:00 (!), e andiamo in banca a prendere un po' di cash, perché qui, come al solito, non accettano carte di credito.
Dopo la banca, giro per la città vecchia e per l'oasi. Turpan, come già le città tibetane, è divisa in una parte nuova cinese, moderna, ed una parte uyghura, più caratteristica. Qui ci sono molte moschee, che mescolano in modo curioso architettura tipica musulmana ed orientale. Gente uyghura socievole e simpatica, mercati e, nell'oasi, il vecchio villaggio uyghuro di argilla, fango e paglia. Eccezionale.
Siamo circondati dai bambini, che però, a differenza ad esempio dell'India, ci avvicinano per curiosità e per scambiare due parole in inglese, non per chiederci soldi. I vecchi si fanno fotografare in posa, al gente ci sorride e ci saluta. Fantastico! Ci piacciono questi uyghuri. Decisamente ci sentiamo finalmente in Asia Centrale! Siamo entrati nel mondo arabo a noi caro. Qui, peraltro, le scritte sono bilingue, in arabo ed in ideogrammi.
Verso le 20:00 taxi e torniamo al John's Cafè dove incontriamo di nuovo il nostro amico uyghuro. Gli diciamo che non accettiamo la proposta per Kashgar perché troppo cara per noi. Non fa una piega e dice che va bene, anzi, ci dà dei consigli per farla in treno e/o con l'autobus.
Cena con pizza di Kashgar (!) al John's Café. La pizza di Kashgar è una specie di pane piatto ricoperto da una montagna di cipolle, peperoni e pomodoro. Gli uyghuri fanno un pane buonissimo, che oggi abbiamo comprato da una bancarella. Conto della cena: 44 yuan.
Fa buio verso le 22:00, la temperatura è sempre calda ma si placa un po'. Il John's Café si popola. Piacevole serata nell'oasi di Turpan... Sì, siamo di nuovo in corsa!
Altra sveglia micidiale, questo tour de force verso Kashgar ci sta mettendo a dura prova. Sveglia alle 6:40, ma non facciamo a tempo a fare colazione. Dovremmo uscire, andare al John's Café e tornare in tempo prima di partire, ma non ne abbiamo proprio voglia. Fa già caldissimo, per fortuna in camera l'aria condizionata funziona (anche troppo!).
Alle 8:00 arriva il nostro autista. Non spiccica una parola di inglese e starà praticamente muto tutto il giorno. La giornata è più bella di ieri, non ci sono nuvole, solo foschia dovuta al calore del deserto.
Prima tappa del giro di oggi a Gaochang Gucheng, uno scavo archeologico a poco più di 40 km ad est di Turpan, nel deserto. Si tratta delle rovine di una cittadina del 7° secolo. Il posto è bello, il viaggio nel deserto di primo mattino anche. C'è molta foschia che rende il paesaggio abbastanza surreale.
La strada è nuova ed asfaltata, sembra di essere negli Emirati Arabi, e ci sono anche molti pozzi petroliferi, proprio come in Arabia. Si attraversano villaggi uyghuri incontaminati, è tutto davvero molto interessante.
A Gaochang si gira con un carretto trainato da un asino. Ci sono, inutile dirlo, i soliti tour organizzati e chiassosi di cinesi, tantissimi. Ma la vera sorpresa è una bancarella di souvenir che ha una tv sulla quale stanno trasmettendo un video... una versione taroccata, in uyghuro, dell'"Italiano vero" di Toto Cutugno, cantata da un uyghuro sosia di Cutugno! Roba da pazzi!
Dopo Gaochang, si va ad Asitana Gumuqu, una necropoli sotterranea lì vicino. Va giù Emanuela, io rimango fuori a causa della mia solita claustrofobia e così risparmiamo 20 yuan. Oggi tutti gli ingressi costano 20 yuan a cranio, un po' esagerato...!
Una breve sosta alle Huoyan Shan (Flaming Mountains), una catena montuosa aridissima e solcata da canyon, per scattare qualche foto e poi, verso le 10:30, siamo di nuovo a Turpan, giusto quando inizia a fare davvero caldo.
Finalmente colazione al John's Café, quindi in albergo a riposare un po'.
La seconda parte del tour è prevista nel tardo pomeriggio, quando la temperatura torna accettabile.
Ce ne stiamo a dormicchiare un po' fin verso le 14:30, poi andiamo al CITS a saldare il conto per domani. La temperatura fuori è paurosa, il sole brucia letteralmente, è fuoco puro! Al CITS ci fanno (tanto per cambiare) qualche storia sui tempi di percorrenza previsti per il viaggio. Di fatto, vogliono ovviamente allungarlo per guadagnare di più. Riescono quasi a farmi pentire della decisione, ma ormai abbiamo pagato. Ribadiamo che vogliamo arrivare a Kashgar in tre giorni, non uno di più. Fino a prova contraria la strada dovrebbe essere bella, checché ne dicano quelli del CITS, e gli autobus la fanno in 22 ore! Sarà comunque una battaglia dura, siamo nelle loro mani.
Secondo il nostro piano dovremmo fare tre tappe. Domani fino a Luntai, circa 600 km. Dopodomani la traversata vera e propria del Tarim Basin, in mezzo al Taklamakan, quasi 850 km di cui oltre 500 di vuoto spinto, fino ad Hotan. Poi, il terzo giorno, da Hotan a Kashgar, la tratta più classica, 500 km e rotti.
In realtà non abbiamo idea di come faremo a controllare dove, come e lungo quali strade questi qua del CITS ci porteranno, né come faremo a sapere in quali villaggi, e dove in generale, saremo. Questa è la cosa più seccante. Vabbè.
Risolta la pratica CITS, facciamo un po' di spesa per i prossimi giorni: molta acqua, 6 litri, più uno che già abbiamo. Poi di nuovo in albergo, la temperatura è davvero insopportabile ora.
L'appuntamento con il nostro autista dovrebbe essere alle 16:00, ma viene rimandato alle 17:00 per motivi oscuri.
Come prima tappa, andiamo dunque a Putao Gou (Grape Valley), una zona dell'oasi, a circa 10 km da Turpan, interamente coltivata a vigneti, dove si lavora l'uva per produrre vino e uva sultanina. Il mercato (turistico) di prodotti delle vigne è straordinario e vivissimo, e tutta l'area è davvero interessante.
Compro uno zuccotto quadrangolare, il tipico cappello uyghuro, molto bello. E ovviamente ci compriamo un chilo d'uva sultanina. Nei villaggi intorno, essicatoi per l'uva e infiniti mercati d'uva, straordinari. La temperatura qui è però insopportabile. C'è un'umidità elevatissima dovuta all'effetto serra delle vigne ed ai sistemi di irrigazione, e siamo in un lago di sudore.
Verso le 19:00 andiamo ad Emin Ta, una moschea qualche chilometro fuori Turpan, nota per avere l'unico minareto afghano presente in Xinjiang. Bello, ma niente di che, e poi l'area è super-turistica e la temperatura continua ad essere implacabile.
Finiamo il nostro giro ai Karez presso Turpan, un sito dove è possibile vedere come gli uyghuri costruiscano i sistemi sotterranei per incanalare l'acqua nelle oasi. Questo luogo è davvero eccessivamente turistico e anche alquanto noioso. Alle 20:30 ci facciamo riportare in albergo, completamente liquefatti e fradici. E' ancora chiarissimo. Rapida doccia e cena al John's Café.
E così anche Turpan è andata. Onestamente non l'ho trovata questo luogo così eccezionale come viene di solito descritta. Interessante sì, bellissimo no. Troppo "modificato", troppo cinesizzato, troppo lontano da quelle che sono le oasi e i deserti che piacciono a noi.
Qua, come a Dunhuang, l'intervento cinese è pesantissimo. E' un parco divertimenti, più che uno spettacolo della natura. Tant'è siamo alle solite. Fuori il Tibet, la Cina non riesce proprio ad entusiasmarci. Qua e là belle cose, ma davvero gli highlights, in due mesi di Cina, si contano sulle dita di una mano.
Non comunica emozione questo Paese, non comunica libertà, non comunica niente. Il luoghi scivolano via tutti uguali, uno dopo l'altro, e tutto ciò che vediamo non è all'altezza, a nostro avviso, di analoghe cose viste in giro per il mondo. Non il deserto (fino ad ora), non le architetture, non la gente. Il Tibet è davvero un mondo a se stante in questo senso, non c'entra un tubo con il resto della Cina.
Ai confini della realtà! La cosa davvero incredibile della Cina è che comunque, nel bene e nel male, riesce ogni giorno a stupirci!
Anche a Turpan, come già a Dunhuang, il nostro albergo, di notte, chiude la porta dall'interno con un catenaccio. E' impossibile uscire. E la cosa assurda è che quella è l'unica uscita, indicata anche come uscita di sicurezza!
In più, non ci hanno *mai* rifatto la camera. Nella hall i ventilatori vengono tenuti spenti. E a Turpan, come a Dunhuang, non è possibile avere una chiave della camera. Ogni volta che si esce ci si chiude la porta alle spalle, ogni volta che si rientra bisogna trovare l'inserviente con le chiavi. Inutile dire che spesso, alle 7 del mattino, o alla sera alle 10 ad esempio, non è così banale trovare qualcuno che ti apra camera tua!
Stamattina sveglia alle 6:45. La mattinata è fresca, nel senso che saremo sui 26°, si sta benissimo, l'aria è pulita. Bagagli e andiamo a cercarci un posto per fare colazione. Il John's Café è ancora chiuso. In giro, come avevamo già notato, la gente dorme per strada davanti a casa, sull'erba o su una branda, o ancora sui tetti delle case (!), tutti a caccia di un po' di fresco.
Andiamo al Turpan Hotel a fare colazione. Come al solito c'è da picchiarsi per farsi capire. C'è un cartello, all'interno dell'hotel, che indica "Grape Café", ma questo posto non si trova. E se chiediamo "Grape Café" nessuno capisce! Notare che è un hotel a 4 stelle dove tutte le insegne sono in inglese e il personale, in teoria, dovrebbe dunque parlare inglese.
Insomma, in un modo o nell'altro riusciamo a fare colazione con un caffè e un po' di pane e marmellata, ma le scene al tavolo sono indescrivibili.
Mi portano una tazza di caffè e subito dopo un bicchiere, ancora di caffè. Faccio notare alla cameriera che il caffè già ce l'ho, fa cenno di sì con la testa, lascia lo stesso il secondo caffè e se ne va. Chiedo il conto (gesto universale) e mi portano dell'altra marmellata. Senza però pane e senza coltello. Chiedo allora dello zucchero e me lo portano. Senza cucchiaino. E via così. Una serie di idiozie, una dopo l'altra. Come si fa a non innervosirsi?
Alle 8:30 si presentano i nostri amici del CITS: un autista che come al solito non spiccica una parola e la nostra amica-guida. La macchina è la solita VW Santana rossa. Farci stare i bagagli è un'impresa. Per fortuna anche loro hanno una cassa d'acqua.
E si riparte di nuovo, destinazione un punto ignoto in mezzo al Taklamakan, il paese di Luntai, dove dovrebbe iniziare la nuova cross-desert highway che taglia il deserto in linea retta verso sud. Sta di fatto che loro, è chiaro fin da subito, non hanno la minima idea di quale sia la nostra strada. Andiamo bene...
Per fortuna le strade non sono molte da queste parti e riusciamo ad imboccare la direzione giusta. Poiché qui non ci sono cartelli, noi ci orientiamo con il sole! Loro con i nostri consigli!!!
Insomma, bene o male ci lasciamo alle spalle l'oasi di Turpan e iniziamo la nostra traversata del Taklamakan verso Kashgar. Oggi la strada va verso sud-ovest, tenendosi ai margini del deserto e seguendo la ferrovia che collega Urumqi a Kashgar, di oasi in oasi.
Qui il deserto è molto verde a tratti. Ci sono coltivazioni di canna da zucchero, meloni, angurie, girasoli. Villaggi uyghuri. La strada a tratti è bella ed asfaltata, a due o addirittura a quattro corsie. In altre tratte è molto sconnessa, sempre asfaltata, ma talvolta la sede stradale è stata divelta da qualche inondazione recente ed improvvisa, e ci si arrangia.
A tratti si attraversa deserto piattissimo, arido e salato. In altri momenti acqua, qualche fiume, allagamenti, paludi, con molti uccelli. Si attraversano anche alcune zone montagnose e canyon spettacolari, sembra un paesaggio lunare, o afghano, caratterizzato da rocce aride, nere, rosse e bianche, e pareti di sabbia desertica gialla che riempie i canali di erosione. Uno spettacolo geologico stupendo.
Traffico sostenuto, camion carichi oltre l'umana immaginazione, che procedono lentissimi. A volte andiamo a 100 km/h, a volte a 10, a volte siamo fermi. Temperatura discreta, fin verso le 13 non abbiamo bisogno di a/c. Solo un paio di soste per scattare qualche foto, niente di più.
Facciamo un po' di conversazione con la nostra amica del CITS. Una delle cose più intelligenti che riesce a dire è che forse, adesso che è "vecchia" e ha 40 anni (!), dovrebbe imparare un po' di uyghuro per comunicare con la gente locale... Il bello è che lei ci è nata in Xinjiang e qua ci fa la guida!! Pazzesco! Inoltre, ci fa capire non troppo velatamente che gli uyghuri non le sono molto simpatici, che sono rozzi e che picchiano le mogli! Queste perle d'informazione sono evidentemente il frutto dell'istruzione che il governo cinese dà ai propri coloni! Un bell'esempio di integrazione razziale...
Peraltro, è molto interessata al nostro viaggio in Tibet, ma si dimostra di un'ignoranza abissale su tutto: sulla geografia del proprio Paese, su quella della propria regione (noi ne sappiamo mille volte più di lei!), su tutto.
Non capisce perché non siamo passati dal Pakistan e si meraviglia di quello che le raccontiamo a proposito della situazione internazionale. E sto parlando di una guida turistica governativa del CITS... Servono commenti?
Verso le 14:00 ci chiede se "per caso" vogliamo fare una sosta! Le diciamo di sì. Nell'ora successiva passiamo un sacco di posti per fermarsi, fra cui la grande (e inattesa) città di Korla, ma non ci fermiamo... Ci mettiamo un bel po' per capire che lei sta aspettando che glielo "ordiniamo" e che decidiamo noi due dove e quando! In mezzo al deserto!!
E queste sono le nostre due guide?? Siamo costretti, alla fine, a farli fermare presso una squallida stazione di servizio vuota. Non c'è neanche un posto di ristoro o un negozio, niente di niente, solo pompe di benzina e camion. Come se non bastasse, ci accorgiamo di avere lasciato a Turpan il nostro sacchetto con la roba da mangiare! Per fortuna loro hanno portato arachidi e pane...
Dieci minuti di sosta e ripartiamo. Dopo un po' arriviamo ad un bivio dove c'è un cartello incomprensibile, scritto solo in ideogrammi. Riusciamo solo a capire (da soli) che Luntai è 130 km davanti a noi, il che più o meno quadra con i nostri calcoli.
A sinistra c'è una deviazione sconosciuta e secondo loro quella è la strada da prendere. Quella strada punta a sud, diritta nel deserto, e NON è segnata su alcuna delle nostre mappe. Nè riusciamo ad individuare la località dove, secondo il nostro cartello, dovrebbe portare. La cosa davvero assurda è che i nostri due compari, a loro volta, non riescono a capire bene e sembra che non riescano a leggere il cartello!!! E' incredibile.
Mostro loro le nostre mappe e insisto per proseguire per Luntai. Secondo loro sono sbagliate. Alla fine tirano fuori una terza carta, in cinese, turistica. E' l'unica che hanno ed evidentemente fanno fatica ad interpretarla... Siamo ATTONITI! La prendiamo noi e verifichiamo che è uguale alle nostre. Non abbiamo più alcun dubbio, vogliamo proseguire dritti. Loro non sembrano convinti, ma non sapendo che pesci pigliare decidono di seguire il nostro "consiglio"...!!! Non so quanti punti esclamativi metterci!
D'altra parte anche la Lonely Planet dice chiaramente che la nuova cross-desert highway parte da Luntai e qui siamo a 130 km di distanza. Non sarebbe un errore da poco, su tre carte geografiche ed una guida! Alla fine sembrano convinti...
Arriviamo così, alle 17:00, a Luntai (e ieri questi qua sostenevano che ci sarebbero voluti due giorni di viaggio...). Qui, un'altra scena assurda.
Le nostre due "guide" non sono capaci di cercare un albergo. Neanche da pensare, ovviamente, che avessero studiato in anticipo, o chiesto informazioni prima di partire. Qui siamo davvero fuori dal mondo, solo scritte in arabo o ideogrammi. Loro girano a caso per il paese, guardandosi in giro, e non gli viene in mente di chiedere a nessuno.
Dopo mezz'ora, davvero scocciati, facciamo fermare questi due imbecilli. Io scendo, fermo un tassista e gli chiedo solo "Fandian" ("Hotel" in cinese), e dopo sessanta secondi ho individuato due alberghi. I nostri due "amici" sono senza parole. Noi, non ne parliamo...
Arriviamo dunque a questo hotel. E bello, pulito, quasi nuovo. Certamente stratosferico rispetto a quelli di Turpan e Dunhuang, tanto per fare dei paragoni. Sembra molto più simile a quelli di ben altra categoria di Xi'an e Lanzhou. E chi si aspettava una cosa del genere quaggiù! Certo non noi, ma quello che è davvero pazzesco è che nemmeno le nostre guide se lo aspettavano... E io che credevo che questa notte non avremmo avuto nemmeno il cesso ed ero pronto a cose tipo Nyalam o Lhatse. E quanto costa questo albergo? 168 yuan, 20$. Incredibile. La Cina è il regno dell'assurdo.
E assurdo è questo posto, sperduto in mezzo al deserto, dove probabilmente siamo i primi occidentali a fermarci per la notte, a giudicare dallo "spettacolo" di cui, evidentemente, siamo i protagonisti.
La città, perché di città si tratta, è quasi del tutto nuovissima, pulita, con larghi viali alberati, palazzi nuovi. Illuminata, surreale. Una specie di perfetto esempio di socialismo reale paradossale, applicato in mezzo al deserto.
Decine, forse centinaia di taxi. Ma per chi? Negozi, banche, in una specie di vuoto spinto. La gente ci guarda incuriosita, usciamo per strada e praticamente siamo il centro dell'attenzione del paese. E' davvero tutto incredibile.
Facciamo la spesa e compriamo una carta geografica della regione, per usarla domani con i nostri due amici. Tutte le carte che vediamo confermano le nostre ipotesi di questo pomeriggio.
Quindi, ci facciamo un giro per il mercato, interamente uyghuro, interessante. C'è una moschea carina. E chi si aspettava un paese del genere? Sembra quasi una delle nostre località di villeggiatura sull'Adriatico! Io credevo di arrivare in un villaggio polveroso, pulcioso e sabbioso.
Dei nostri amici nessuna notizia, credo siano sconvolti dal fatto che volevamo andare in giro da soli (e che siamo in grado di farlo...). Inutile dire, peraltro, che nessuno, nemmeno le nostre guide, ci hanno aiutato a scaricare i nostri bagagli e a portarli in camera. Il personale dell'albergo non ha mosso un dito. Questo è ormai tipico dei cinesi che abbiamo incontrato qui nello Xinjiang, da quando siamo arrivati. I cinesi quaggiù sono i peggiori che abbiamo incontrato, sia a livello cerebrale, sia per la cafoneria.
Dopo la spesa, ceniamo nell'isola pedonale del mercato. Gli uyghuri sono davvero cortesi, ci sorridono tutti. Approfittiamo di tavolini all'aperto e ceniamo a base di spiedini. Conto? 8 yuan, 1$, per una decina di spiedini, una birra ed una bottiglia d'acqua.
Della gente si raccoglie intorno a noi, poi uno osa e attacca bottone. Tempo mezz'ora si raduna una folla, alcuni si fanno fotografare accanto a noi. E' tutto incredibile.
Rientriamo in albergo, stanchi, verso le 21:00. Domani la tappa più difficile. Soprattutto per spiegare alle nostre "guide" dove andare...!!!
Giornata epica, dura. Abbiamo attraversato dunque il Taklamakan e siamo infine arrivati ad Hotan, ma non è stato affatto facile. Il Taklamakan ha onorato la sua fama e le nostre due sciagurate guide, purtroppo, anche.
Sveglia alle 6:00 per affrontare la tappa più impegnativa. Luntai è al buio, la città intera dorme. Ci facciamo un caffè rapido in camera con il solito bollitore ed alle 7:00 siamo pronti per partire. E' ancora buio, anche se piano piano inizia a schiarire. La vera ora dello Xinjiang sarebbe decisamente due ore indietro rispetto a Pechino!
La temperatura è fresca, perfetta. Abbiamo molta acqua e parecchi viveri grazie alla spesa di ieri. Abbiamo studiato tutti i dettagli, delle nostre guide non ci fidiamo per niente.
La strada si preannuncia asfaltata, ma oltre 500 km di deserto totale quaggiù non sono uno scherzo, soprattutto con un catorcio come questo schifo di VW Santana, la macchina meno adatta a questo viaggio, una cazzo di berlina a pezzi a fondo piatto e gomme lisce. Peraltro, i due imbecilli del CITS sono in linea: non conoscono la strada, non conoscono la regione, non sanno leggere le mappe e sono quasi analfabeti a quanto pare. Un disastro.
Mostro loro la nostra nuova mappa che abbiamo comprato ieri. La studiano un po' perplessi, ed è in cinese!! La capiamo noi, ma loro sono in difficoltà! Comunque, pare che abbiano "chiesto informazioni" e hanno scoperto che abbiamo ragione... La cross-desert highway parte da qui! Siamo senza parole. Seguendo loro, ieri, ci saremmo persi irrimediabilmente.
Io non sono per niente tranquillo.
Usciamo da Luntai e inforchiamo una stradina asfaltata che si inoltra nel deserto. Il sole non è ancora sorto, c'è molta foschia e quindi io ed Emanuela facciamo molta fatica ad orientarci. Siamo comunque certi che questa NON è la nostra strada: NON è nuova, NON corrisponde alla descrizione. Loro ridono e dicono che in effetti, qui, ci sono molte strade ed è facile perdersi!
A parte che qui di strade ce ne sono davvero poche, perdersi è davvero idiota!! Basterebbe chiedere, ma è una cosa che proprio loro non ammettono, non vogliono fare la figura di non sapere! Allucinante!!
Per la cronaca, lei indossa scarpe bianche con il tacco e calzini di nylon corti: abbigliamento perfetto per attraversare il deserto...che idiota, dio mio!
Girando a caso, e con una nostra intuizione, riusciamo ad imbroccare questa cavolo di "desert-highway". E' un nastro d'asfalto che inizia dove iniziano le dune e corre per 540 km sopraelevata di mezzo metro, protetta da reti anti-sabbia che, dalla sabbia, sono già sommerse, fra dune, dune, dune fino all'infinito, niente altro che dune. Vuoto spinto. Impressionante.
Né il Namib, né il Sahara settentrionale, né il deserto arabico, nessun deserto a dune che io abbia visto è così impressionante. Oltre 500 km di niente assoluto. Sabbia, sabbia, sabbia. Traffico pochino, ma ogni qualche decina di minuti passa qualche camion, o autobus, o Land Rover. Parecchi autobus e camion spiaccicati fuori strada, vediamo almeno un paio di incidenti paurosi abbastanza freschi, uno dei quali ha coinvolto in pieno uno sleeper-bus, completamente fracassato contro un camion! I due idioti ridono e nemmeno rallentano, siamo sconvolti!
L'andatura è più o meno sui 100-110 km/h. Il nostro drammatico autista dopo sole due ore e nemmeno 200 km ha già dei colpi di sonno allucinanti e siamo obbligati NOI (!!) a costringerlo a fermarsi per riposare...
Ma che cazzo di autista è questo qui??
Ogni tanto si incontra qualche lavoratore isolato, o in coppia, abbandonato senza mezzi lungo la strada, con una pala, per la manutenzione del manto stradale. Non ha protezione, non ha una tenda, non ha un tubo. Lo lasciano lì e basta, con la sua pala, nel vuoto, fra le dune... incredibile...
La nostra deficiente si è data appuntamento con un'amica al telefono e passerà tutto il giorno a provare a chiamarla con il cellulare. In mezzo al deserto. E' sorpresa e incazzata perché il telefono non prende. Questi sono davvero due malati di mente (oltre che ignoranti in modo mostruoso). Noi siamo letteralmente stralunati, è tutto troppo surreale e kafkiano per essere vero!
Dopo 330 km c'è una stazione di servizio. E un bivio inatteso. Per fortuna chiedono indicazioni al benzinaio. Ci vuole un bel po' per uscire da questa prima parte del viaggio.
La traversata si conclude, per fortuna, a Niya, dopo 560 km da Luntai. Ci arriviamo verso le 14:00 e tiriamo un sospiro di sollievo. Qui c'è verde, c'è un'oasi, c'è un grande villaggio uyghuro. La Cina è lontana davvero chilometri da qui!
Dobbiamo letteralmente *ordinare* ai due idioti di fermarsi per una sosta, altrimenti questi cretini, stanchissimi, continuerebbero senza mangiare, riposare, pisciare...
I due idioti si sorprendono di potere entrare nei locali uyghuri. Pare che a Turpan sia loro proibito dal governo... Alla faccia del razzismo e dell'integrazione. Qui è peggio ancora che in Tibet. Noi entriamo in un locale e veniamo accolti alla grande dagli uyghuri, anche perché io indosso il mio zuccotto, Emanuela si è messa un velo e salutiamo alla loro maniera, mano sul cuore e Salaam Aleikum. Facciamo subito centro!
Ci offrono un tè incredibile, al pepe e peperoncino, speziatissimo. E buonissimo. E non si fanno pagare. Altro che cinesi, altro che Cina!
I due cretini, invece, devono pagare.
Verso le 14:30 ripartiamo, la strada è ancora lunga. Attraversiamo una serie di stupendi villaggi uyghuri di argilla, paglia e legno, di oasi in oasi. La nostra guida idiota è meravigliata dei posti ed evidentemente considera strano che gente così "rozza" e povera, secondo il suo metro, viva così "bene". Questa è davvero fuori dal mondo. Dice che, siccome ogni tanto ci sono anche dei palazzi, questo significa che è gente ricca e non si rende conto che quei pochi palazzi che vede sono costruiti dal suo governo idiota per cinesi idioti come lei. Io, giuro, vorrei picchiarla da quanto è cretina! Altro che Tsering e Pasang, qua sfioriamo, anzi, oltrepassiamo ogni paradosso, stiamo facendo NOI da guida a due cretini di cinesi del posto!! Ma questo è oltre ogni limite, se penso a quanto stiamo pagando tutto ciò!!
D'altra parte il treno non fa questa tratta e gli autobus sono notturni ed espressi. Con gli autobus locali, invece, ci sarebbe voluta una settimana e sarebbe stato un inferno, altro che il Golmud-Lhasa.
Comunque tutto ciò è pazzesco.
Dopo altri 150 km di deserto, oasi e villaggi, il "patatrac": la strada è interrotta. In teoria dovremmo essere a circa 150-170 km da Hotan, la nostra destinazione, almeno secondo i miei calcoli. Secondo un unico piccolo e stupido cartello cinese c'è una deviazione da seguire.
Infiliamo la deviazione ed entriamo nuovamente in pieno deserto, fra le dune, su uno sterrato da paura. E per giunta in direzione opposta a quella in cui dovremmo andare. Puntiamo a sud-est, e invece dovremmo andare a nord-ovest. I due idioti non si chiedono niente, io mi innervosisco parecchio.
Non sappiamo dove stiamo andando, non c'è più un cartello, un palo, niente, siamo su un cazzo di sterrato difficile, con una macchina che può spaccarsi da un momento all'altro, andiamo in direzione opposta a quella in cui dovremmo andare, è tardi ormai e passa solo qualche raro camion. Inoltre, la temperatura non è affatto indifferente. Ma loro niente... Vagano inebetiti.
Faccio loro notare che la direzione è sbagliata, ma non capiscono. Alla fine, dopo qualche chilometro, li costringo a fermarsi e a chiedere a un camionista. Il tipo dice che dobbiamo seguire la pista fino a che non fa una decisa inversione ad "U". I nostri due soci si sorprendono che io conoscessi la direzione giusta. Cerco di spiegargli, con scarso successo, l'orientamento con il sole e gli faccio vedere la LORO mappa cinese, ma niente.
Dopo un po', ancora persi. Devo arrabbiarmi per farli fermare di nuovo, prima che si infilino definitivamente nella sabbia, e costringerli a chiedere. Stavamo decisamente sbagliando! IO individo la direzione corretta (che è poi banalmente quella verso la quale si dirige tutto il traffico di camion ed autobus, basta seguirli!!). Non ne possiamo più di loro due.
Lo sterrato prosegue ora per un centinaio di chilometri, forse 150, al fianco di una strada in costruzione, fra le dune ed il deserto piatto. L'idiota di autista non è evidentemente capace di guidare qui, per fortuna sono capace io... Lo aiuto a disinsabbiarsi un paio di volte e a scegliere l'itinerario giusto senza sfasciare la macchina. Praticamente lo navigo metro per metro. Come se non bastasse abbiamo problemi di temperatura dell'acqua, il motore va ormai in ebollizione e dobbiamo fermarci un paio di volte a fare raffreddare tutto... in mezzo alle dune del Taklamakan!
Infine, verso le 20:00, dopo avere finalmente piegato a nord-ovest, lo sterrato si ricongiunge alla strada normale, ed alle 21:00 siamo ad Hotan!
Quasi 14 ore ininterrotte di sabbia e polvere, siamo esauriti! Stanchi morti, innervositi.
Ad Hotan, una volta di più, è evidente che loro non ci sono mai stati, non hanno preso alcuna informazione, non sanno come cercare un hotel, non sanno girare la città. Non sanno un cazzo!
Questo è il CITS, l'agenzia turistica governativa per gli stranieri.
Troviamo l'albergo da soli. E' uno dei migliori in cui siamo stati. E ci costa solo 170 yuan (20$), colazione compresa. Per questa reggia! E' tranquillamente all'altezza di quello di Xi'an. Ormai non mi sorprendo più ad arrivare in paesi come questo e trovare città vere e proprie con alberghi come questo. Solo in Tibet i cinesi si rifiutano di dare questi servizi. Peraltro, anche Hotan è divisa in una parte cinese, nuova, moderna, pulita, ed in una uyghura, frequentata solo da uyghuri, all'interno dell'oasi, tradizionale, sabbiosa, coloratissima.
Insomma, eccoci nella mitica Hotan, una delle oasi, insieme a Kashgar e a Turpan, più famose della Via della Seta, rinomata per i mercati, la giada, la seta e i tappeti.
In teoria dovremmo andarcene domani mattina e partire per Kashgar, ma siamo arrivati tardissimo e ci secca partire da Hotan senza vederla e senza comprare qualcosa. Kashgar può aspettare ancora un giorno, siamo stanchi e questo albergo è bello. Decidiamo dunque di cambiare programma, ma non riusciamo ad avvertire la nostra guida deficiente. Mi ha dato il numero di cellulare, ma non risponde. Neanche agli SMS. E noi non sappiamo in che hotel alloggino loro, certo non nel nostro.
Così domani, visto che l'appuntamento per partire è alle 9:00, mi tocca alzarmi per andargli a dire che non si parte... come li ODIO.
Finiamo la serata in un simpatico ristorante uyghuro. Poiché il menù è incomprensibile e loro parlano solo uyghuro, diciamo di portarci quello che vogliono. Stupendo... Un piattone di noodle al dente, con omelette, montone, verdure e tè speziato. Sono tutti gentilissimi e sorridenti. Conto? 20 yuan! Una pacchia!
Note: Abbiamo incrociato un matrimonio uyghuro. Qui è proprio un mondo diverso, come in Tibet. Uomini tutti con lo zuccotto, donne tutte con il velo. Noi ci adeguiamo ovviamente.
Ieri il tipo che ci ha attaccato bottone a Luntai mi ha offerto una sigaretta cinese. La mia prima sigaretta dopo 108 giorni.
Abbiamo notato che qui gli orologi sono *davvero* regolati sull'ora non ufficiale dello Xinjiang, due ore indietro rispetto all'ora di Pechino, che viene utilizzata solo dagli uffici governativi.
Come deciso, giornata di sosta a Hotan. Poiché quella deficiente della nostra guida non ha risposto ai miei messaggi di ieri, mi tocca alzarmi alle 8:30 per scendere alle 9:00 ed aspettare che i due idioti vengano a "prenderci per partire". Quando arrivano, la deficiente passa mezz'ora a scusarsi per non avere acceso il cellulare. Prova perfino a dire che nei 500 yuan extra per la giornata in più non è prevista la sua quota e che si è sbagliata, ma basta ringhiare un attimo e le passa subito la tentazione di insistere.
Le spiego il nostro programma di oggi e le "ordino" di passare a prenderci nel pomeriggio. Praticamente i due idioti passano la mattinata a raccogliere informazioni perché non sanno dove sono le cose che vogliamo andare a vedere. Ovviamente sulla Lonely Planet c'è tutto il necessario, ma mi guardo bene dal dare loro alcun indizio! Hanno addirittura la brillante intuizione di andare dai loro colleghi del CITS locale (cosa per loro nuovissima) per farsi spiegare. Raccolgono perfino una mappa della città che più tardi ci mostreranno entusiasti. No comment. Noi torniamo a dormire ancora un po' e poi trascorriamo la mattinata a dormire in camera. E' una gran bella giornata.
Verso le 14:00 usciamo per andare a fare un check su Internet. La notiziona è che il Ministero degli Affari Esteri turkmeno ci ha rilasciato la lettera di invito! Possiamo quindi fare la domanda per il visto a Bishkek. Purtroppo invece nessuna notizia dall'agenzia uzbeka. Questo sta diventando davvero un problema: è assurdo che le uniche difficoltà le abbiamo con l'Uzbekistan, che fra l'altro per noi è un visto comunque indispensabile, considerato che è il primo posto dal quale possiamo tornare a casa diretti senza fare giri strani, e considerato che in prima battuta il nostro viaggio potrebbe proprio finire dopo Samarcanda e Bukhara, se non avremo più tempo.
Insomma, la situazione non si sblocca per il momento. Staremo a vedere.
Alle 15:00 vengono a prenderci i nostri due amici e andiamo per prima cosa a Jiyaxiang, un villaggio a circa 15 km da Hotan, noto per le aziende artigianali uyghure di filatura e tessitura della seta. Questa è una visita straordinaria.
Entriamo in una di queste piccole aziende familiari e possiamo assistere a tutto il processo di produzione della seta, dalla bollitura dei bozzoli alla tessitura. Emanuela ha pure la possibilità di provare la filatura insieme alle donne locali. Possiamo anche filmare e fotografare tutto. Stupendo!
Andiamo quindi ad una piccola fabbrica di tappeti nelle vicinanze. Anche qui è interessante e filmiamo un po'. Siamo sempre ben accolti dagli uyghuri, a differenza dei nostri due accompagnatori, che evidentemente si muovono, anche loro, come turisti, ma che sono odiati dagli uyghuri. L'assurdo è che la nostra tipa, che scopriamo chiamarsi "Miss Wang" (o Wa), si arrabbia perché la gente locale non parla cinese e non risponde alle sue domande (parte ovviamente con il solito approccio cinese arrogante e cafone). Non so come dire, ma per noi questa è una grande soddisfazione (e vendetta!).
La sorpresa negativa è che qui i tappeti sono carissimi, molto più che in medio oriente, a parità di disegni. La qualità è inferiore e in più questi tappeti, almeno quelli di questa fabbrica che visitiamo, sono brutti. Quindi non compriamo nulla.
Facciamo poi una breve escursione al fiume dove la gente locale va a cercare la giada. Poco interessante. Quindi in centro città a visitare una fabbrica per la lavorazione della giada. Interessante. Il negozio annesso è scarsino. Leggiamo sulla Lonely Planet che in città ce n'è uno enorme e ovviamente quella deficiente di Miss Wang chiede in questo negozio dove si trova l'altro! Paradossale. Chissà come mai le rispondono che è chiuso e lei, ovviamente, ci crede.
Abbandoniamo dunque per oggi i due pirla al loro destino e ce ne andiamo in giro per la città per i fatti nostri. Tappeti, seta e giada, i prodotti di Hotan, li abbiamo esauriti. Proviamo a telefonare a casa, ma con zero successo. Da Hotan non si riesce a telefonare all'estero, nemmeno dal palazzo della China Telecom. Emanuela se ne va in giro per due ore per tutta la città a provare, ma non ottiene alcun risultato. Assurdo.
Cena alle 21:30 in un ristorante uyghuro con tavolini all'aperto: pollo arrosto!
Relativamente ad Hotan, comunque, vale quello che ho detto per tutte le altre città cinesi. E' ormai chiaro che, come avevo letto da più parti, la Cina "vera" non esiste più. La Cina è solo un ininterrotto susseguirsi di città tutte identiche, uguali, tutte ricostruite o costruite ex-novo come questa, con la stessa pianta, gli stessi palazzi a piastrelle bianche pressoché vuoti, soprattutto da queste parti.
Ci sono le solite Bank of China, Agricoltural Bank, Commercial Bank e Industrial Bank. Vorrei sapere chi mette soldi dentro tutte queste megabanche in questi villaggi sperduti! C'è la solita China Telecom, e la solita China Mobile. Ma non si può telefonare. C'è il solito PSB, il solito CITS, il solito Mall. Sempre i soliti palazzi tutti uguali. E i soliti viali vuoti e le solite piazze con monumenti idioti in mezzo. Dappertutto. A Lanzhou, a Xining, a Dunhuang, a Turpan, a Korla, a Luntai, a Golmud, a Hotan. Sempre più lontane da Pechino, sempre più piccole, ma sempre inesorabilmente uguali, popolate dai soliti cinesi orrendi, con lo stesso odore dappertutto.
Nelle province "autonome" dello Xinjiang e del Tibet, stessa identica musica. Città divise in due, cinesi da una parte, popolazione locale dall'altra. E si odiano. E i cinesi si comportano proprio da colonizzatori arroganti, oltre che essere spaventosamente razzisti, di un razzismo che anche noi sperimentiamo quotidianamente. Come in un negozio di fotocopie oggi, dove si sono rifiutati di servirci. Siamo entrati in un negozio uyghuro lì di fianco e non c'è stato alcun problema. Pazzesco, è come sentirsi negri in Sudafrica!
Stamattina ho assistito anche ad un'altra scena assurda: ho scoperto cosa sono quelle musiche militari diffuse al mattino presto dagli altoparlanti presenti in tutte queste città, o meglio, a cosa servono queste musiche. Tutti i dipendenti degli uffici pubblici scendono in strada e, come militari in divisa (e in divisa sono, del resto) devono fare ginnastica, tutti in formazione. In abito da lavoro, le donne con le scarpe con i tacchi! Ogni oltre possibile deficienza.
L'altra costante è che quelle poche, vere, meraviglie che sono rimaste in Cina, sono state inevitabilmente modificate, cinesizzate, devastate. Tutto trasformato in una grande Dysneyland per cinesi. L'Esercito di Terracotta, la Muraglia, le dune o le cave di Dunhuang (queste rimangono le cose più assurde!). Tutto irrimediabilmente compromesso e senza alcuna atmosfera.
Sì, credo che dopo tutte queste settimane, un'idea della Cina ben precisa ce l'abbiamo, anche senza avere visto Shangai o lo Yunnan.
E che dire delle nostre guide? Rientrano tutto sommato nel panorama generale della Cina. Secondo i nostri standard occidentali è evidente che sono del tutto incapaci. E' altresì vero che questa gente *non* sa cosa deve fare perché non l'ha *mai* fatto. Sono come i bambini che stanno imparando. Ad esempio, i nostri due amici del CITS... Fino a qualche anno fa facevano i contadini o gli operai. Poi uno si è messo a fare l'autista perché sa guidare, l'altra sa un po' di inglese e quindi fa la "guida".
Ma il fatto è che a) non si sono *mai* mossi da casa loro, né hanno alcun modo di studiare o prepararsi, e anche se l'avessero non saprebbero come fare perché nessuno lo insegna loro; b) i loro "turisti" sono generalmente gruppi di cinesi, come loro, incapaci ed ignoranti come loro, che portano in giro a 2 km dal centro città perché i cinesi non sarebbero capaci di farlo da soli, a differenza evidentemente nostra. Loro, muoversi da soli, non lo prendono nemmeno in considerazione.
Quando al CITS di Turpan si presentano all'improvviso due come noi, che vogliono addirittura fare una cosa, per noi stupida, come attraversare il Taklamakan seguendo una strada asfaltata, loro vanno nel panico. Perché non l'hanno mai fatto, non sanno come si fa. E il risultato è che noi, stupidi, spendiamo 4.300 + 500 yuan, totale 4.800, 600$, per quattro giorni così. Non si può dire che, pur potendolo ormai immaginare benissimo da soli, questa volta non ce la siamo cercata. E' anche vero che, almeno, in questo modo il nostro obiettivo di farci l'itinerario su misura e fermarci dove vogliamo lo abbiamo ottenuto. Quindi, pari.
Ormai comunque da Kashgar, nostra ultima ed agognatissima tappa in Cina, non mi aspetto più moltissimo, salvo il famoso bazar. Di fatto, già "sappiamo" come è Kashgar senza averla vista.
Ed oggi è il 20 agosto... Fra due mesi tondi saremo a casa. Al massimo fra due mesi! Verosimilmente arriveremo qualche giorno prima immagino, altrimenti la povera Emanuela dovrà rientrare al lavoro direttamente il 21 ottobre, dopo 6 mesi di viaggio!! Assurdo, non è concepibile. Credo che il nostro giusto target sia intorno al 15-17 ottobre.
Che impressione... Sembra che il tempo sia volato via e di essere quasi in fondo. Allo stesso tempo, sembra di essere partiti una vita fa... Sì, è una stranissima sensazione...
Sì, siamo a Kashgar! Alla fine ce l'abbiamo fatta! La tappa più agognata, la vera porta dell'Asia Centrale, la mitica, leggendaria Kashgar, che divide con Samarcanda lo scettro ideale di oasi regina e capitale della Via della Seta.
La famosa Kashgar, dove arrivano la Karakoram Highway, dal Pakistan, attraverso il Kunjerab Pass, le strade dal Kyrgyzstan, attraverso il Torugart e l'Irkeshtan Pass, e quelle dall'Afghanistan, via Wakhan Corridor, e dal Tagikistan. Kashgar, ultimo avamposto per coloro che vanno al K2 dal versante cinese e al Muztagh Ata, ai piedi del Karakoram, del Pamir e del Tian Shan.
Noi siamo qui, infine, a Kashgar. E dopo l'Everest, questo è l'ultimo giro di boa. Da qui si torna davvero a casa, è l'inizio dell'ultima tratta, attraverso tutta l'Asia Centrale. Ormai poche settimane per completare l'anello e percorrere gli ultimi 15.000 km che ci separano da Milano.
La prossima tappa davvero degna di nota, a parte l'attraversamento del Torugart Pass, sarà Samarcanda, fra circa un mese.
Kashgar... Certo, arrivare qui dal Pakistan, attraverso il Kunjerab Pass, dopo avere fatto tutta la Karakoram Highway, sarebbe stata un'altra cosa. Non c'è niente da fare: questa occasione persa, questa rotta spezzata me la porterò dentro per anni. La Karakoram Highway continua a rimanere il mio sogno irrealizzato.
Proveremo, ammesso che non costi una fortuna, a risalirne un pezzo al rovescio da qui, magari senza arrivare fino al Kunjerab, che da qui dista 400 km e per il quale, probabilmente, avremmo bisogno di un nuovo visto cinese per uscire e rientrare. Ma non sarà mai come sarebbe stato arrivare fin qui dal Pakistan.
Questo pensiero, tant'è, non mi abbandona, e rende questo ingresso a Kashgar un po' mesto...
Stamattina sveglia alle 8:00: è ancora buio! E' chiaro che utilizzare l'ora di Pechino è assolutamente inutile, serve solo per gli uffici. In ogni caso la partenza è fissata per le 9:00, la tappa è lunga e vogliamo fare alcune soste importanti lungo la strada.
Per le vie la solita musica militare e i soliti impiegati che fanno ginnastica come burrattini. Micidiale.
La tappa scivola via di oasi in oasi, qualche tratta di deserto sabbioso piatto, ma in gran parte verde, pioppeti, fiumi e oasi enormi. Ormai siamo proprio ai bordi del Taklamakan e siamo ai piedi del Pamir e del Karakoram, che qui si incontrano.
Facciamo sosta a Karghilik, a Yarkand e a Yengisar - toponomastica uyghura: tutti questi posti hanno doppio nome cinese/uyghuro; ad esempio, Kashi (cinese) / Kashgar (uyghuro). Questi villaggi uyghuri, ancorché pesantemente contaminati dai cinesi, sono delle perle lungo la Via della Seta meridionale, poco visitati (noi non incontriamo alcun turista ormai da Turpan). Certamente ciascuno di essi conserva la propria personalità e merita la visita.
A Karghilik si trova la notevole moschea di Jama Masjid. a Yarkand la moschea Altyn e la tomba di Aman Isa Khan, del 1500. Yengisar è famosa per la produzione di coltelli. Visitiamo una fabbrica e compriamo un bel coltello uyghuro tutto lavorato, d'argento.
Lungo la strada e nei villaggi riusciamo finalmente a fare delle gran belle foto di mercati e primi piani di uyghuri, esattamente quello che volevamo e che ci mancava, aiutati anche, una volta tanto, da una bella luce. Le persone si fanno fotografare volentieri, sono gentili e sorridono. Eccezionale.
La giornata sarebbe dunque pacifica e tranquilla, non fosse per i nostri due idioti accompagnatori.
L'autista, dopo circa 200 km, inizia a farsi di lattine di Red Bull per stare sveglio, come del resto faceva gli scorsi giorni. Da prendere a sberle. Quel che è peggio, lancia le lattine vuote e le bottiglie fuori dal finestrino in corsa. Emanuela perde la pazienza e dà ad entrambi dei barbari maleducati. Ha ragione, ma evidentemente per loro è un concetto incomprensibile, come tutto il resto.
Miss Wang passa gran parte del tempo intontita a dormire, oppure si lancia il conversazioni surreali (quando non urla come una deficiente al telefonino), tipo sostenere che in Cina è facilissimo per noi fare i biglietti del treno. Le chiedo se per lei è facile venire in Europa e fare i biglietti del treno da sola. Prima rimane di sale, poi scoppia a ridere, inizia a picchiarsi sulla testa e a dire "che stupida che sono, che stupida che sono". Questo rimane il suo unico lampo di intelligenza.
Entrambi continuano a dimostrare una ignoranza mostruosa. Sono incapaci di portarci nei posti che vogliamo visitare, sono incapaci di comunicare con la gente locale. Arriviamo al paradosso che le informazioni le chiedo, le interpreto e le capisco io!
A Kargilik, dopo avere girato a vuoto per mezz'ora come deficienti, fermo io un uyghuro e mi faccio spiegare la strada. Ma i due cretini continuano a non voler seguire le mie indicazioni. Il fatto è che i cinesi a cui chiedono informazioni non sono in grado di darle, essendo deficienti come loro, e gli uyghuri o non rispondono loro, perché li odiano, o loro stessi non capiscono quello che gli uyghuri gli dicono.
Insomma, poiché non riusciamo a trovare la moschea che cerchiamo (in un villaggio microscopico), i nostri due dicono che dovremmo noleggiare una vettura con autista locale!!! Perdo davvero la pazienza, questo è il colmo!!!
Tutto il giorno va avanti così, praticamente siamo noi a portare in giro loro, che è assurdo. E la cosa pazzesca è che questa cretina di Miss Wang, ogni volta che troviamo un posto fra quelli che ci interessano, che cerchiamo e che sono segnalati dalla Lonely Planet, invece di scendere dalla macchina e venire a "istruirsi", se ne sta chiusa dentro alla macchina a dormire. E' tutto talmente assurdo che va oltre ogni logica comprensione.
Scopriamo anche cosa dicono gli altoparlanti cittadini che fin da Pechino abbiamo annotato e che sanno tanto di Grande Fratello. Infatti. Lanciano tutto il giorno, per tutta la città, messaggi politici o slogan come "tenete pulita la città", messaggio quest'ultimo che evidentemente per i cinesi è del tutto inutile... Questa gente è davvero stupida e ha davvero il cervello lavato.
Il nostro autista, tanto per cambiare, guida in modo da far rizzare i capelli e rischiamo decine di frontali. In molti casi ce la caviamo davvero per un soffio, ma secondo lui sono gli uyghuri che sono pericolosi con i loro carretti trainati dagli asini e dai cammelli. Di fatto questi carretti sono l'unico mezzo di spostamento quaggiù, a parte gli autobus, ma lui continua ad attraversare i paesi, con le strade piene di gente e di carretti, a 100 km/h, attaccato al clacson!!
Noi non ne possiamo davvero più di questi due idioti. E comunque, l'elenco delle assurdità quotidiane che vediamo e viviamo in Cina sarebbe davvero infinito.
Infine, alle 19:00 ora di Pechino (ma ormai noi viviamo secondo l'ora dello Xinjiang) arriviamo al termine della nostra corsa in Cina. Kashgar.
Come ormai ci aspettavamo, Kashgar, a prima vista, è orribile. Altro che villaggio uyghuro, oasi di carovane. Una mostruosa ed enorme città cinese, tutta piastrellata come al solito e identica a tutte le altre città cinesi.
In centro troneggia una allucinante statua di Mao, enorme, circondata da bandiere rosse.
Questo albergo ci costa 300 yuan a notte, circa 37$. E' molto bello, sempre all'altezza dei migliori, nuovo, con tutte le amenità. Prezzo CITS, altrimenti costerebbe 380 yuan. Inoltre si trova in pieno centro e, particolare non da poco, proprio a fianco del mitico Caravan Café! Siamo proprio qui!
A parte questo, la nostra prima serata a Kashgar è poco più di zero. Abbandoniamo al loro destino i due pirla, ci laviamo, cena schifosa in ristorante schifoso, ma conto da 13 yuan!! Beh, almeno questo!
Domani si inizia a preparare la nostra ultima settimana in Cina e la tratta verso il Kyrgyzstan. E naturalmente si va a caccia della vecchia Kashgar, ammesso che esista ancora. Certamente rimarremo qui fino a domenica, un po' per riposarci, un po' per aspettare il mitico mercato domenicale, che dovrebbe essere uno dei più belli dell'Asia. Il nostro obiettivo rimane arrivare a Bishkek il 31 agosto o il 1° settembre.
Mah, speriamo che Kashgar non sia solo l'ultimo pacco di questa Cina...
Nota: a circa 50 km da Kashgar, guardando a sud attraverso la foschia che copre il deserto, all'improvviso si intravedono le vette innevate del Pamir... Accidenti, siamo davvero qui, fra Pamir, Tian Shan e Karakoram... Stento a crederci...
Reduci dal solito, immancabile, blackout. Siamo passati all'ora dello Xinjiang, due ore in meno dell'ora di Pechino. E' decisamente più comoda per vivere, anche se è un po' un casino gestire gli orari. Così, ora è mezzanotte, ma ufficialmente sono le due del mattino!
Questa mattina sveglia alle "10:00". Oggi è una giornata dedicata al riposo totale ed alla organizzazione a tavolino della tratta fino a Bishkek. Per prima cosa andiamo a fare colazione qua a fianco, al mitico Caravan Café, il cui proprietario avevamo contattato fin da Pokhara per farci aggiornare sulla situazione della Karakoram Highway (KKH).
Il Caravan Café... Se penso a quando mi collegavo al suo sito Internet dall'ufficio e sognavo ad occhi aperti... Beh, ora siamo seduti qui a fare colazione. Ed è proprio come da foto sul sito web. Chissà perché noi pensavamo che fosse anche un Internet Café, e invece è solo un bar.
Ci facciamo una chiacchierata con il socio di Steve, il proprietario. Quindi alle 15:30 incontriamo Dolkun, l'uyghuro amico di Miss Wang. Dolkun è sveglio e parla un ottimo inglese. Ci fa un paio di proposte per risalire la KKH fino a Tashkurgan, oltre il Muztagh Ata, e per salire al Torugart Pass. A quanto pare non c'è invece alcuna speranza di arrivare al Kunjerab Pass. La frontiera cinese è stata spostata giù a Tashkurgan e senza un ulteriore visto cinese non possiamo proseguire, né tanto meno arrivare alla frontiera pakistana ed a Sost. Sono decisamente contrariato da questa cosa. Il Kunjerab Pass continua a rimanere un sogno, anche da questo versante.
Facciamo una puntata al PSB locale, ma di avere un altro visto non se ne parla nemmeno, ci rimbalzano proprio. Anche la mia seconda Lonely Planet della KKH rimarrà dunque inutilizzata, 15 anni dopo la prima. Deve essere destino.
Passiamo un'oretta su Internet. La lettera di invito per il Turkmenistan è pronta e ci viene faxata nel pomeriggio. Anche quella uzbeka pare che sia pronta, ma per il momento non se ne sa niente. Sono un po' preoccupato. Ormai questo viaggio si gioca tutto a Bishkek e dipenderà dal tempo per ottenere i due visti. Una settimana in più o in meno e ci giochiamo la possibilità di arrivare a Milano.
Inizio la nuova newsletter. Mi scrive anche mio fratello che a casa c'è un po' di casino a causa dei nostri spostamenti quaggiù attorno al Pakistan e all'Afghanistan.
Alle 17:00 torniamo al Caravan Café dove incontriamo, finalmente, Steve Larson. Ci dice che lungo la KKH, nella tratta pakistana, gli autobus viaggiano in carovana per sicurezza e che la situazione non è bella. Ci facciamo fare un paio di offerte per gli stessi programmi proposti da Dolkun e per metterli a confronto. Ormai abbiamo le idee piuttosto chiare e domani decideremo il da farsi.
Steve è qui da 15 anni e ha praticamente girato (ovviamente) tutta l'Asia Centrale palmo a palmo. E' americano e, tutto sommato, dal "vivo" non è quel personaggio che ho immaginato per mesi leggendo i suoi post sul Thorne. Ci dice che è ancora possibile trovare la vecchia Kashgar e respirare il vero Xinjiang nei villaggi uyghuri, sebbene ormai la contaminazione cinese avanzi sempre più rapidamente.
Io finisco il pomeriggio su Internet, Emanuela a dormire. La cena è il solito problema. Almeno nella zona dove siamo noi non c'è un tubo, e neanche la Lonely Planet ci è di molto aiuto. Torniamo nel desolante ristorante di ieri sera, ma piantiamo lì quasi tutto. Stasera proprio non ce n'è. Bisognerà esplorare bene questa città.
Nota: c'è una notizia di cinque studenti cinesi morti mentre tentavano lo Shisha Pangma. Tutta la vicenda è assurda, e ben si inquadra nella realtà cinese. Questi qua sono arrivati allo Shisha Pangma qualche giorno dopo di noi e hanno tentato di salirlo in pieno periodo monsonico, senza avere alcuna esperienza di alta quota, né attrezzatura adeguata.
La trasmissione in proposito alla tv cinese è agghiacciante, con interventi eroico-demenziali, commenti idioti. C'è da vomitare, questa gente è completamente fuori di testa!
Oggi primo vero assaggio di Kashgar. Abbiamo appuntamento alle 10:00 con Dolkun, con il quale prenotiamo il giro di tre giorni al Karakul e a Tashkurgan. Almeno un aperitivo di Pamir e di KKH, in questo modo, lo avremo e potrò anche finalmente vedere il mitico Muztagh Ata, il "settemila" dei miei sogni, tempo permettendo naturalmente. Il giro ci costa 1.200 yuan, esclusi gli alloggi. A Tashkurgan proveremo anche a fare un estremo tentativo con le guardie di frontiera cinesi per vedere se ci faranno passare e arrivare fino al Kunjerab Pass, ma già sappiamo che è una possibilità davvero remota. In ogni caso, partenza prevista lunedì mattina alle 7:30. Un altro tassello va dunque a posto.
Ci prendiamo quindi un taxi, dopo la solita colazione al Caravan Café, e ci facciamo portare in centro, Piazza del Popolo, sotto alla grande statua di Mao che abbiamo visto il primo giorno arrivando a Kashgar. Dovremmo andare alla Bank of China per ritirare un po' di soldi, ma sbagliamo orario. La Bank of China, ovviamente, segue l'ora di Pechino e non quella dello Xinjiang.
Ce ne andiamo allora a piedi alla moschea di Id Kah, la più grande di Kashgar, nel cuore del bazar, una delle più grandi della Cina. Ma oggi non siamo fortunati con gli orari e arriviamo durante l'orario di preghiera. Dobbiamo dunque aspettare. La giornata è sufficientemente rovente da mettere addosso poca voglia di andare in giro. Ma non c'è altro da fare e allora iniziamo un breve giro della città vecchia.
La parte che giriamo è carina, non straordinaria, ma comunque ben diversa dalla solita città cinese nuova che è a qualche isolato da qui. Qui si aggirano solo uyghuri (e uzbeki, tagiki, kirghizi, ma come distringuerli? Riconosciamo solo i pakistani, grazie al loro caratteristico vestito), ci sono delle interessanti botteghe (panettieri, stagnini, falegnami) e qualche piccola moschea. Bambini che ci si attaccano addosso. Qualche foto discreta.
Un rapido break per bere qualcosa e poi torniamo alla moschea. Il piazzale davanti è gremito di gente interessante, soprattutto uyghuri, ed è davvero un gran spettacolo. Le donne, spesso, sono completamente coperte, confermando che Kashgar è abbastanza conservatrice. Così coperte le avevamo viste solo nel nord della Siria, molte indossano praticamente un burka.
Noi giriamo "integrati", io con il mio zuccotto, Emanuela con il velo, anche se a dirla tutta le donne cinesi (poche o nulle) e gli scarsissimi turisti se ne fregano alla grande. Peraltro, la gente qui non è così socievole come nei villaggi nel deserto. La moschea di per sè è una delusione. Niente di che. Spoglia.
Giriamo per i vicoli intorno e per il bazar degli orafi. Sta di fatto che Kashgar non ha niente di più, né di meno (oddio, si fa per dire) di cento altre simili città orientali. Mah...
Torniamo in banca e poi al Caravan Café da Steve per confermare la tratta verso il Kyrgyzstan. Nel frattempo ci arriva via fax anche la lettera di invito per l'Uzbekistan. Molto bene! Con Steve confermiamo dunque il viaggio fino a Bishkek. Partenza il 29 agosto, passaggio del Torugart Pass. Qui ci lascerà l'organizzazione del Caravan Café e ci prenderà in consegna quella kirghiza. Dovremmo trascorrere la prima notte presso il caravanserraglio di Tash Rabat, nel Tian Shan, e la seconda notte nei pressi del lago Söng Köl. Quindi, il 31 agosto dovremmo arrivare a Bishkek. Sarà comunque sabato e fino a lunedì 2 settembre non potremo inoltrare le domande per i visti turkmeno ed uzbeko. E lì ci giocheremo tutto.
Finito con Steve, verso le 17:00 ci trasferiamo all'Internet Café, dove io vado avanti con la mia newsletter n° 4 fin verso le 21:00. Quindi affrontiamo la questione cena di petto, stanchi di pessimi e scarsi pasti serali in posti squallidi. Prendiamo un taxi (a Kashgar corsa standard 5 yuan) e ci facciamo depositare al John's Café, il gemello di quello di Turpan (e di Dunhuang). Finalmente una cena vera. Qui peraltro ci sono solo turisti, come al Caravan Café.
Chiacchieriamo un po' stasera, io ed Emanuela. Siamo stanchi. E anche un po' demotivati, ormai. Soprattutto, ne abbiamo le scatole piene di Cina, ormai ne abbiamo fatta per quasi otto settimane! Conveniamo comunque che il punto più basso del nostro morale è stato a Delhi e che quello che attualmente tiene in piedi la motivazione è proprio la voglia di tornare a casa via terra. Ci proveremo, comunque, in tutti i modi, almeno ad avvicinarci il più possibile.
A parte tutto, arrivare fino a Tehran non sembra così impossibile, e probabilmente nemmeno ad Istanbul. Sarebbe già un ottimo risultato. Davanti a noi, a parte ciò, non abbiamo grosse aspettative, se non collezionare "bandierine". Samarcanda, Bukhara. Il Karakul. Forse il deserto turkmeno. Ma difficilmente, con la sola, forse, eccezione di Samarcanda (si spera), ciò che è davanti sarà all'altezza di quello che è stato questo viaggio fino a Kathmandu.
Questi giorni ho l'impressione che ormai la nostra testa, in parte, sia già a casa. La delusione per non avere attraversato il Pakistan è stata forte per entrambi e non c'è nulla da fare, dopo quella svolta, comunque, motivazione ed umore non sono più stati gli stessi. Ciascuno di noi due, secondo me, sta già iniziando a pensare per proprio conto a come faremo a tornare a casa, a reintegrarci, a tornare al lavoro ed alla vita quotidiana di Milano dopo tutto questo. Sarà molto dura, non c'è dubbio. Per noi il mondo "di fuori" si è fermato ormai quattro mesi fa, e visti da qua quattro mesi sono una vita. Ci mancano circa cinquanta giorni ed è come se fossimo in pieno conto alla rovescia. In soli quaranta giorni siamo andati da Milano a Pechino, adesso cinquanta devono bastarci per tornare da Kashgar a Milano e di colpo sembrano pochissimi. Voleranno via. Questo sì, mi spaventa...
I nostri ritmi a Kashgar sono davvero lenti. Stamattina sveglia verso le 11:00, colazione al solito Caravan Café che ormai è la nostra vera base, come per molti altri ragazzi occidentali. Di fatto la popolazione bianca qui si trascina dal Caravan Café al John's Café. Rimaniamo al Caravan Café fino alle 13:30, ce la prendiamo davvero con calma. Temperatura rovente, come al solito.
Poi, nuovo giro in camera e finalmente, alle 14:00 passate, saltiamo su un taxi e ce ne andiamo alla tomba di Yusup Has Hajib, un bel mausoleo tutto decorato in stile uyghuro, dell'XI secolo. A nostro avviso è più bello del Taj Mahal, pur essendo molto più piccolo. Qui si inizia anche a respirare la vera Kashgar che ci aspettavamo. Soprattutto, non c'è nessuno durante la nostra visita, il che rende questo posto decisamente interessante.
Quindi, altro taxi e ci facciamo portare alla tomba di Ali Arslan Khan. Di questa tomba e relativa moschea in realtà non c'è più nulla. Qui hanno abbattuto tutto e stanno costruendo viali nuovi e i soliti orrendi palazzi popolari cinesi. Assurdo. Rimaniamo un po' sconcertati, ma per lo meno facciamo un po' di conversazione - si fa per dire - divertente con un po' di passanti uyghuri che ci attaccano bottone.
Sono ormai le 16:00. Indecisi sul da farsi, Kashgar è ormai esaurita a parte il famoso mercato domenicale che faremo domani, prendiamo l'ennesimo taxi e andiamo alla città vecchia. Da notare che qua i tassisti sono tutti gentili, non tirano a fregare, non ci provano nemmeno. tariffa standard, fissa, giorno e notte, percorsi brevi o lunghi, 5 yuan. Semplicissimo.
Oggi ci giriamo dunque a fondo la città vecchia con una classica maratonina delle nostre. Ed è davvero remunerativa. Qui Kashgar esce finalmente fuori nel suo lato migliore ed è come da attese. Vecchi palazzi in stile uzbeko, vicoli e case di argilla, botteghe di tutti i generi e colori, donne colorate e velate, uomini in abiti tradizionali, piccole moschee, bancarelle, folla, gente socievole e simpatica. Non si vede un cinese da nessuna parte.
Mangiamo qualcosa ad una bancarella, temo che l'igiene non sia esattamente il massimo. Compro un berretto di pelliccia di lince, bellissimo, invernale. E' stupendo e lo pago 130 yuan (prezzo di partenza 250 yuan).
Verso le 17:00 si torna in albergo e io passo il resto del pomeriggio all'Internet Café a mandare avanti la mia newsletter. Il pacco che abbiamo mandato a casa da Delhi con DHL è ancora fermo in dogana a Bergamo. Ci sono problemi con i nostri vestiti usati, roba da pazzi.
Finiamo la serata a cena alle 21:30, al John's Café come ieri.
Insomma, Kashgar ormai ce la siamo girata tutta per bene. La città nuova è orrenda ed esagerata, qua i cinesi ci hanno davvero dato dentro. Quella vecchia invece non è male. Certo non è stratosferica, è abbastanza lontana da quello che ci si può immaginare della leggendaria Kashgar di una volta, ma è piacevole.
Quello che ormai è certo, e definitivo, è che in tutta la Cina c'è un cielo orrendo, bianco e lattiginoso. La luce è sempre bruttissima (da un punto di vista fotografico) e c'è sempre, sempre, sempre foschia!
Ed ecco, finalmente, domenica, la giornata del mercato. Leggiamo che ogni settimana circa 50.000 persone provenienti da tutti i Paesi confinanti scendono a Kashgar per quello che è, sicuramente, uno dei mercati più famosi dell'Asia.
Prima di tutto colazione al Caraven Café, dove mi faccio stampare il fax per la DHL. Quindi saltiamo su un taxi per andare al mercato. Ovviamente il tassista è cinese ed impieghiamo un buon dieci minuti per spiegargli che vogliamo andare al mercato, il che è assurdo considerando che le parole "market" e "bazar" sono praticamente universali e che in particolare, qui, il mercato è l'evento cittadino più importante. Ma non c'è nulla da fare, i cinesi sono cerebrolesi.
Al mercato arriviamo verso le 10:30 e c'è una bella confusione. Peraltro, il mercato di per sè è bello ma non eccezionale. Ormai di mercati in Asia ne abbiamo visti davvero tanti e questo sarà anche uno dei più belli dell'Asia come dice la Lonely Planet, ma certo non può minimamente competere, per fare un esempio, con quello di Aleppo.
I tappeti non sono un granché, i cappelli sono più cari di quelli - identici - che si trovano nella città vecchia. E poi le solite cose, tanti vestiti, tessuti, alimentari, orologi. Onestamente un mercato come tanti altri, neanche particolarmente grande, anzi, molto più piccolo di quello che ci attendevamo.
Scopriamo che i famosi serpenti secchi e le lucertole volanti servono come medicinali e si tritano. Gli scorpioni vivi servono contro i reumatismi, perché la loro puntura contiente penicillina (almeno secondo gli uyghuri che, secondo la Lonely Planet, hanno una delle migliori medicine al mondo!). Insomma, per curare i reumatismi, qui, bisogna farsi pungere da uno scorpione bianco, che secondo loro fa un male boia per otto ore, ma dopo si sta benissimo!... Infatti vendono bottiglie piene di scorpioni bianchi vivi...!
Guardiamo qualche tappeto, ma niente che ci convince. Ci sono molti turisti, soprattutto americani e giapponesi. La domenica è inevitabilmente il giorno turistico per eccellenza a Kashgar.
La parte interessante sta fuori dal mercato. Qui la popolazione è davvero eterogenea e facciamo fuori un bel po' di rullini. Grandi bancarelle di meloni e angurie, aglio, pane, verdure di tutti i colori. Centinaia di carretti tirati dagli asini. Kashgar vera.
Verso le 13:00 ce ne torniamo in albergo. Io passo il pomeriggio a finire la mia newsletter numero 4 e telefono a casa. Poi incontriamo Steve, al quale saldiamo il conto per il Torugart. Totale 1.540 yuan. La tratta successiva fino a Bishkek ci dovrebbe costare meno di 200$ per tre giorni.
Dopo Steve, incontro con Dolkun. Saldiamo anche il conto per la KKH, totale 2.200 yuan. Dolkun è davvero strano. Parla un inglese assolutamente perfetto. Proviamo a scoprire come è possibile, ma elude le domande. Ci intrattiene per una buona mezz'ora, illustrandoci per filo e per segno, in modo quasi enciclopedico, tutte le meraviglie che vedremo sulla KKH. Insiste sul fatto che suo fratello sarà la nostra guida, è entusiasta di questo. Ce lo ripete fino alla nausea. Mah...
Certo è che qui si passa da un estremo all'altro, dalle assurde e sciagurate guide cinesi, a queste strane e misteriose guide uyghure che sembrano uscite da Oxford...
Nel pomeriggio incontro anche - finalmente ed incredibilmente! - due italiani di Milano. Arrivano da Kathmandu e da Lhasa, e fin qui hanno fatto la via del Tibet meridionale. Era il nostro piano "C", in origine. Dicono che è stata molto dura, ma confermano che ormai anche questa strada, pagando, è aperta ai turisti.
Questi due, che fanno parte di un gruppo di Avventure nel Mondo, il nostro giro lo hanno già fatto più volte, anche se spezzato in annate diverse. Entrambi hanno anche fatto il Pakistan e lui a Kashgar c'era già stato 15 anni fa! Niente male. Sono due persone molto particolari, non c'è che dire.
Finiamo la giornata a cena al solito John's Café, ma stasera si cena in modo orribile.
Domani si sale sulla KKH e il pensiero, non c'è niente da fare, va alla mancata traversata dal Pakistan.
Ed eccoci ai piedi del Muztagh Ata, 7.546 metri, il settemila che sogno di salire. Ricordo quando qualche anno fa lessi i primi articoli che parlavano di questa montagna e mi facevano sognare, sembrava così remota, lontana, irraggiungibile... Beh, eccola qui davanti a noi, un po' incappucciata (tanto per cambiare), ma tutto sommato ben aperta, che sale per quasi quatromila metri sopra alle nostre teste...
Questa mattina sveglia micidiale alle 6:00. Dopo la solita colazione al Caravan Café partiamo, verso le 8:00, con un Toyota Land Cruiser, la nostra nuova guida Koresh (il fratello di Dolkun) ed un autista senza nome... Nel pomeriggio scopriremo che neanche Koresh sa come si chiama...!
Finalmente risaliamo la Karakoram Highway, almeno fin dove possiamo. Koresh parla un inglese quasi eccezionale come il fratello, e finalmente scopriamo il perché. Il loro padre è nato a Karachi, quando il Pakistan era ancora una regione dell'India, e ha studiato a Mumbai. E' stato in seguito professore di inglese e l'ha trasmesso ai figli. Almeno questo è chiaro.
Koresh è inarrestabile come il fratello. Una volta che attacca a parlare non si ferma più ed è una guida iperzelante. E' preparatissimo, efficientissimo, gentilissimo. Certo, non un cinese! Del resto, non appena il discorso scivola sulla politica, è evidente che lui i cinesi li odia. E' stupito ed entusiasta del fatto che conosciamo due parole di uyghuro e che ci adeguiamo alle usanze musulmane. Lo trova straordinario. Il pranzo praticamente lo paga lui: pane uyghuro, ottimo come al solito, e melone di Kashgar. Finalmente mangio questi famosi meloni.
L'autista invece è completamente pazzo. Al di là del fatto che evidentemente è uno che hanno tirato su a caso, e che per fortuna guida piano, è del tutto cieco (!) e rissoso. Lungo la strada litiga con tutti, a partire dai pastori che, per forza di cose, conducono i greggi di pecore lungo la strada.
Addirittura, ad un certo punto, in una strettoia litiga con un camionista che proviene in senso opposto su chi abbia la precedenza per passare. Assurdamente entrambi, dopo avere litigato per dieci minuti, spengono il motore, incrociano le braccia e non parlano più, né si muovono! La scena è surreale! E' del resto evidente che il camionista non può più fare retromarcia, perché nel frattempo sono arrivati altri due camion dietro di lui. Ma il nostro autista non ne vuole sapere di muoversi.
Insomma, stiamo lì un po' e non accade nulla. Dice Koresh: "C'è un conflitto". Grazie, ce n'eravamo accorti... Alla fine mi rompo, vado dall'autista e gli dico che deve fare marcia indietro. Rogna un po', ma alla fine cede. Koresh dice che è stato un gran lavoro diplomatico. Mah, secondo me questa gente è totalmente schizzata di cervello.
Il viaggio a tratti è entusiasmante, esattamente come ci attendevamo la KKH e come ormai non vivevamo più dalla Friendship Highway. La strada inizialmente lascia l'oasi di Kashgar e punta a sud, verso il Pamir. Dopo 50 km circa facciamo la prima sosta ad Upal, un villaggio uyghuro molto vivo, dove facciamo un po' di spesa e visitiamo la tomba di Mahmud Kashgari, un personaggio dell'XI secolo che ha redatto il primo dizionario di lingua turca. Poco interessante (sosta inutile).
Entriamo quindi nello spettacolare e coloratissimo canyon del Ghez River. Questa tratta è davvero splendida e selvaggia. Il tempo non è eccezionale ed in parte è coperto con una brutta luce lattiginosa, ma il posto merita. La strada, la mitica KKH, è praticamente spazzata via al 90% da frane e inondazioni, e si procede lentissimi, guadando parecchi fiumi. Non è però vertiginosa, al contrario. E' in questa tratta che accade l'incrocio con il camion di cui sopra.
Arriviamo al check point di Ghez e i militari ci controllano distrattamente i passaporti. In cima al canyon lo spettacolo è superbo. Alla nostra sinistra i contrafforti innevati ed i ghiacciai del Kongur, 7.719 metri. Davanti, la valle si apre, il fiume Ghez la allaga quasi completamente creando una sorta di strano lago dall'acqua bassissima, circondato da montagne interamente costituite da sabbia bianca (Kumtagh). Fantastico. Qui siamo a soli 10 km dalla frontiera con il Tagikistan ed anche l'Afghanistan è a pochi chilometri.
Infine, arriviamo al lago Karakul, esattamente nel momento in cui tutto è coperto e in alto fa temporale. Sono circa le 16:00, e siamo un po' incavolati. Il Karakul è uno dei luoghi più belli dell'Asia Centrale, e fa questo cavolo di tempo orrendo. Peraltro, qui non è esattamente come ci aspettavamo. Avevamo letto (e capito) che qua c'erano solo tende di nomadi kirghizi (tipo ger mongole) presso cui pernottare, ma abbiamo la sorpresa di una bella costruzione cinese nuova di zecca con orribili camere puzzolenti ed un campo di malandate yurte per turisti. Ovviamente, no acqua e no cesso, solo i soliti buchi a secco scavati nel terreno.
Questa specie di resort ha dei prezzi esorbitanti! Vogliono 200 yuan per la camera. Ci rifiutiamo e prendiamo la yurta, 80 yuan. Si dorme per terra, sui tappeti. Per fortuna abbiamo portato con noi i sacchi piuma. Abbiamo lasciato a Kashgar metà del nostro bagaglio e portato solo l'essenziale.
La yurta non ha stufa, e qui fa freddo. Alle 19:00 ci sono 16 gradi e la temperatura andrà giù questa notte. Siamo praticamente soli, c'è solo un'altra coppia di ragazzi giovani. L'impianto elettrico è la cosa più "furba". Si accende tutto (sia l'"hotel", sia le lampadine nelle yurte) quando parte il generatore. Non esistono interruttori!
A parte il campo orrendo, Karakul è un luogo splendido. Nel corso del pomeriggio il tempo si apre quasi completamente e ci regala la vista, quasi totale e proprio sopra al lago, sia del Muztagh Ata (non si vede solo la vetta), sia del Kongur. L'ambiente è spettacolare. Questi due giganti di ben oltre settemila metri sono davvero enormi e si rispecchiano sulle acque turchesi del lago. Viene fuori anche uno straordinario doppio arcobaleno circolare, fenomenale, da documentario!
Andiamo a farci una camminata lungo le rive del lago e veniamo invitati dai nomadi kirghizi qui stanziati nella loro yurta. Tè, piacevole conversazione. Acquistiamo un paio di collanine. Qui la gente è quasi tutta di provenienza kirghiza La yurta kirghiza non è molto differente da quella mongola. Ormai siamo esperti!
Serata nella sala ristorante dell'"hotel". Squallida cena con riso e verdure, ma gli uyghuri ci danno dentro con musica e canti... Mi sembra incredibile di essere davvero a Karakul, sotto al Muztagh Ata. Io so che posso salire questa montagna, devo tornare qua e provarci. E' davvero stupenda, meravigliosa, con dei pendii sciabili fantastici...
Stellata paurosa prima di andare a dormire, e vento molto forte. Sistemiamo il nostro campo per terra, sui tappeti della yurta...
Dormita discreta. La temperatura minima questa notte è stata di circa 6 gradi, ma nel sacco piuma si stava bene e non c'era umidità. Sveglia intorno alle 7:30, più per la luce che per forza. Si sta abbastanza bene. La mattinata è magnifica, non c'è neanche una nuvola e il Muztagh Ata è completamente scoperto. Eccezionale, questa volta posso davvero studiarmi con tutta calma una delle "mie" montagne, ed è stupendo. Il Muztagh Ata è davvero bellissimo.
Facciamo una prima serie di foto al lago e alle montagne, poi un po' di colazione. Per fortuna abbiamo un po' di biscotti, qui c'è solo tè, caffè e schifezze cinesi. Dopo colazione ce ne andiamo in giro attorno al lago fin verso le 12:00. La giornata è stupenda, ma come sempre in Cina il cielo è più lattiginoso che blu, nonostante la quota alla quale ci troviamo. Tant'è non è una bella luce.
E a proposito di quota, il nostro acclimatamento si è mantenuto ed è perfetto, continuiamo a non accusare minimamente l'altezza e la notte è scivolata via senza alcun problema anche qui a 3.600 metri.
Attorno al lago vengo massacrato dalle zanzare che qui infestano l'aria e picchiano duro. Fotografie discrete ai nomadi kirghizi e alle loro yurte. Cammelli e cavalli. I kirghizi indossano un cappello differente dagli uyghuri, più buffo, fatto di lana di pecora, bianco e decorato, alto sopra alla testa.
La mattinata scorre via piacevole e tranquilla ai piedi del Muztagh Ata, e calda. Poi arriva una comitiva di cinesi, con tanto di apparecchiature per la produzione di ossigeno... Senza parole. Il tempo tende a rannuvolarsi e verso le 13:00 partiamo.
Continuiamo la nostra strada lungo la KKH, risalendo verso il Kunjerab Pass. Oggi la strada è facile, completamente asfaltata, e non ci sono problemi. Si gira tutto intorno al Muztagh Ata e i panorami sulla montagna sono stupendi. Riesco a studiarmela per bene e sembra davvero accessibile e fattibile. Non c'è moltissima neve, ma certo le seraccate sono impressionanti.
La strada sale a un passo ad oltre 4.000 metri (il mio altimetro misura 4.050 metri) e il panorama sulla valle del Muztagh Ata è bellissimo. Di fatto, questa tratta attraversa un deserto d'alta quota. Intorno, i picchi innevati del Pamir. A 4.000 metri continuiamo a non avvertire affatto l'altitudine, facciamo anche una breve passeggiata ma il fiato regge benissimo. L'effetto del Tibet è ancora ben presente nel nostro sangue.
Lasciamo quindi il Muztagh Ata alle nostre spalle e ci inoltriamo in una valle verde, attraversiamo un piccolo canyon e infine arriviamo a Tashkurgan, attuale posto di frontiera cinese, a circa 290 km da Kashgar e ad un centinaio dal Kunjerab Pass. Oggi la frontiera cinese è qui e noi non possiamo proseguire lungo la KKH nemmeno fino al passo, sebbene il confine reale sia al passo stesso e sebbene il posto di frontiera pakistano sia a quasi 150 km da qui. I cinesi non ci lasciano passare. Fino a un anno fa il posto di controllo cinese era a Pirali, che si trova un'ottantina di chilometri più in là. E fino a qualche settimana fa pare che le guardie di frontiera consentissero comunque la salita al passo, lasciando giù i passaporti. Ora sembra davvero impossibile proseguire.
Questa cosa proprio mi fa incazzare, anche se lo sapevamo e anche se, comunque, siamo riusciti ad avere la nostra parte di KKH.
Tashkurgan è un villaggio quasi interamente tagiko. E' incredibile, nello spazio di 300 km siamo passati da territorio uyghuro a kirghizo, a tagiko. Il Tagikistan è dietro alle montagne sopra alle nostre teste, solo 10 km in linea d'aria. L'Afghanistan è a circa 50 km a sud-ovest. Vediamo "quasi" la frontiera da qui. Se solo potessimo proseguire verso Pirali arriveremmo anche alla frontiera afghana...
Le donne tagike qui sono tutte in abiti tradizionali, coloratissime. Gli uomini sembrano tutti siciliani, e indossano la coppola. E' impressionante quanto questa gente sembri europea e non asiatica, e assomigli davvero tantissimo alla nostra gente del sud.
Quelli con cui abbiamo a che fare sono davvero cordiali e, ovviamente, parlano inglese! Quanto è lontana la Cina da qui, si fa davvero fatica a ricordarsi che sempre in questo assurdo Paese siamo! Pechino, vista da qui, è un pianeta lontanissimo...
Facciamo una sosta nel vecchio villaggio e poi veniamo a questo hotel che si trova nella zona cinese, brutta e in costruzione come tutte le altre. L'hotel non è malaccio tutto sommato, 150 yuan per la notte. Se penso che ne volevano 200 ieri a Karakul per quella topaia... Tashkurgan è assolutamente vuota. Non fosse per i tagiki non sarebbe molto diversa da Lhatse! C'è un'unica via, pochi orrendi negozi, qualche ristorante cinese. C'è anche un vecchio forte, o per lo meno quello che ne rimane. Tutto intorno, gli alti picchi innevati del Pamir, che pochi chilometri più avanti diventa Karakoram.
Il tempo si guasta come ieri e diventa tutto nero e ventoso. Non essendoci un tubo da fare, finiamo il pomeriggio in camera a dormicchiare. Verso le 20:00 usciamo per la cena. Il ristorante dell'albergo è già chiuso! A dire il vero, Tashkurgan è già quasi interamente chiusa e buia. Ci infiliamo in un ristorante dove ci sono solo uomini tagiki che, dal momento in cui varchiamo la soglia, non ci levano gli occhi di dosso. Sembra di essere a Corleone, o a Gela!
Cena orrenda, solita scodella di noodle gelati, con pezzi di verdura e carne, quella roba che sembra risciacquo di lavastovoglie. E, a proposito, anche qui come in tantissimi altri posti della Cina, i cuscini dei letti sono riempiti con trucioli di legno! Allucinanti. Mi ero sempre dimenticato di annotarlo.
Insomma, qui finisce la Karakoram Highway, per quanto ci riguarda. E' un rammarico che non mi toglierò mai finché non torneremo per percorrerla integralmente, anche se è stato meglio di niente. Domani si torna a Kashgar e finalmente andremo dunque via da questa Cina che ci ha davvero stufato.
Personalmente sono contento ed entusiasta di averla attraversata tutta, ma certo non è stato come mi aspettavo. Non fosse stato per il Tibet (che Cina non è!) e per i panorami e la gente dello Xinjiang, la Cina sarebbe davvero un disastro. I cinesi sono davvero tremendi. Sì, non ne possiamo davvero più.
E' anche ormai chiaro che siamo stanchi. Io vado avanti sulla scia del mio entusiasmo e del fatto che questi luoghi, comunque, me li sono davvero sognati per una vita. Ma qui sono tante le cose che vorrei ancora fare e che non abbiamo il tempo di vedere, o che non abbiamo in programma, o che non abbiamo potuto fare... La Karakoram Highway integrale, certo, ma anche il trekking al campo base del K2. O salire il Muztagh Ata. Per non parlare del Pakistan intero, a iniziare dal Nanga Parbat e dalla risalita del Baltoro... Quante cose ancora vorrei fare in questa regione. E quanti anni dovranno passare prima che si riesca a tornarci?
Comunque, anche lo Xinjiang volge dunque al termine. Ed è volato via tutto sommato. Il tempo sta davvero correndo ora...
Nota: siamo di nuovo abbronzatissimi!
Sveglia alle 7:30, partenza alle 9:00. Si torna indietro a Kashgar. La giornata è un po' stupida, nuvolosa, ma questo rende stranamente la luce più bella di quella del viaggio di andata. Ne consegue che di nuovo partono centinaia di foto e questa tappa di ritorno, che pensavamo di dormire interamente, è davvero più bella ed entusiasmante di quella dell'andata.
Le montagne sono bellissime, ancorché incappucciate, e limpidissime. Il Muztagh Ata è tenebroso e coperto. Enormi ghiacciai, che non avevamo notato all'andata, scendono fino a poche centinaia di metri dalla strada. I panorami della KKH sono davvero fantastici e il Pamir cinese è oltre le aspettative.
Nuova sosta al Karakul, dove il nostro pazzo autista smonta una sospensione e la butta nel baule!!
Il canyon del Ghez River è molto più colorato dell'andata, grazie alla luce pomeridiana. Sosta ad Upal per pranzo verso le 15:30. Incrociamo gli autobus che vanno in Pakistan... no comment.
Alle 17:00 siamo a Kashgar, ma prima di andare all'hotel facciamo una deviazione per andare alla tomba di Abakh Hoja, una specie di piccolo Taj Mahal tutto a piastrelle colorate. Abbastanza interessante. E con questo abbiamo definitivamente esaurito Kashgar.
All'hotel c'è Dolkun ad aspettarci. Insomma, bisogna riconoscere che la sua organizzazione familiare privata è stata eccezionale.
Finalmente una doccia vera e un po' di relax. Finiamo il pomeriggio ad evadere la posta su Internet e poi al solito John's Café.
Qui finisce anche la nostra Cina, questa volta davvero. Domani entriamo in Kyrgyzstan, la prima tappa veramente "verso casa" ed anche, "ufficialmente", nei Paesi dell'Asia Centrale. Onestamente, di Cina e cinesi non se ne poteva veramente più, ma è anche vero che lasciare definitivamente questo Paese significa che ormai siamo sulla rotta di casa...
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